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La donna e il male

Quando giunge in Palestina, il popolo di Abramo obbedisce alla religione dell’unico Dio Padre e spodesta la Potnia locale, la Grande Madre Mediterranea, destinata a una inevitabile decadenza. Di essa rimane traccia nella figura di Lilith (assimilata all’assiro-babilonese Lilitu, incarnazione del piacere sessuale). Nella tradizione ebraica Lilith è la donna creata prima di Eva, nata non  da una  costola di Adamo ma insieme a lui, direttamente dalla terra. “Noi siamo uguali” essa dice a Adamo “poiché veniamo ambedue dalla terra”. Ma su questo punto Adamo  – il capostipite dell’umanità, l’uomo generato direttamente da Dio Padre plasmando la terra a propria immagine  e somiglianza – non è d’accordo e si scontra con la donna primigenia, che secondo una variante della tradizione ebraica sarebbe stata sua moglie  prima di Eva.
Il litigio tra i due è irrimediabile, in quanto Lilith rifiuta di sottomettersi  a Adamo. Viene per questo condannata a restare negli Inferi, dove conduce una vita notturna, perversa e dove diventa istigatrice degli amori illeggittimi e perturbatrice del letto coniugale, trasformandosi nell’emblema della prostituta. Questa entità demoniaca è in perenne rivalità con Eva, nata dalla costola di Adamo e perciò più facilmente propensa ad accettare la propria derivazione dell’uomo. E infatti,  mentre Adamo, e quindi l’uomo, può vantare una discendenza diretta da Dio, Eva, e quindi la donna, è un’appendice derivata.

Il richiamo alla potenza procreatrice del dio-padre è riscontrabile anche in Polinesia, dove gli antropologi hanno rintracciato ancora in epoca recente la presenza di un materiale mitico simile a quello greco e giudaico. Presso i Maori della Nuova Zelanda si ritiene che Rangi, il Padre Cielo, e Papa, la Madre Terra, fossero originariamente uniti in una specie  di entità androgina: i loro settanta figli, tutti di sesso maschile, vivevano rannicchiati sotto le ascelle della madre. Uno di essi, Tanè, propone di separare i genitori e in seguito a questa divisione i fratelli si liberano di essi e si mettono alla ricerca di un elemento femminile per generare l’uomo. Tanè prende una prte del corpo della madre e le dà forma di donna, Hinè, a cui  soffia la vita attraverso le narici, la bocca e le orecchie. Con lei genera solo figlie e ne  sposa una (Hinè Titama), con la quale dà vita ancora ad altre figlie. Dopo aver saputo che suo marito era anche suo padre, Hinè Tatama resta talmente sconvolta che abbandona il mondo e divena (come Lilith) la signora della notte e della morte. (…)

È Hinè Titama, così come Eva nella tradizione giudaico-cristiana, a introdurre la morte nel mondo. L’uomo, creatura unica del dio, diventa incarnazione del Bene, la donna, creatura derivata e responsabile del ciclo della vita e della morte, diventa incarnazione del Male, consapevole del peccato da essa stessa generato grazie alla sua dimestichezza con i misteri della sessualità.

Vera Slepoj, Le nuove ferite degli uomini, 2010

Se la donna non è degradata non c’è piacere

(IMPOTENZA PSICHICA)

Avanzerò l’ipotesi che l’impotenza psichica sia molto più diffusa di quanto non si creda e che, infatti, in una certa misura questo comportamento caratterizzi la vita amorosa dell’uomo civilizzato (…) gli uomini definiti psichicamente frigidi: costoro compiono sempre con successo l’atto sessuale, ma non ne ricavano alcun piacere particolare, e questo fatto è molto più comune di quanto si creda.

Due motivi dell’impotenza psichica: l’intensa fissazione incestuosa dell’infanzia e la frustrazione dovuta alla realtà nella adolescenza. Potrà sembrare non solo sgradevole ma anche paradossale, e purtuttavia si deve dire che per essere veramente liberi in amore si deve superare il rispetto per le donne e venire a patti con l’idea dell’incesto con la madre o con la sorella. Chi si sottoponesse a un serio esame di coscienza riguardo a questa esigenza, scoprirebbe certamente che considera l’atto sessuale fondamentalmente come qualcosa di degradante che insudicia e contamina non solo il corpo ma anche l’anima. L’origine di questa bassa opinione, che egli certamente non vorrà ammettere di possedere, va ricercata nel periodo della sua giovinezza durante la quale la corrente sensuale era già decisamente sviluppata ma il suo appagamento con un oggetto esterno alla famiglia era proibito quanto lo era con un oggetto incestuoso.

L’importanza psichica di un istinto aumenta in proporzione alla sua frustrazione.

I genitali in se stessi non hanno partecipato a quell’aspetto dello sviluppo umano riguardante la bellezza: sono rimasti animali e quindi anche l’amore è rimasto, nella sua essenza, animale come è sempre stato. Gli istinti erotici sono difficili da educare. La loro educazione a volte dà troppo, a volte troppo poco. Il modo in cui la civiltà cerca di trasformarli ha come prezzo una sensibile perdita di piacere, la persistenza degli impulsi inutilizzati può essere individuata nell’attività sessuale sotto forma di non-appagamento.

Potremmo, quindi, essere costretti a riconciliarci con l’idea che è assolutamente impossibile adeguare le esigenze dell’istinto sessuale a quelle della civiltà e che, in conseguenza del suo sviluppo, la razza umana non può evitare la rinuncia e la sofferenza nonché il pericolo di estinguersi in un lontanissimo futuro.

(DEGRADAZIONE DELL’OGGETTO SESSUALE)

Non appena si realizza la condizione di devalorizzazione psichica dell’oggetto sessuale, la sensualità può esprimersi liberamente e si possono sviluppare notevoli capacità sessuali e un alto grado di piacere.

Solo in una minoranza di persone le due correnti dell’affetto e della sensualità si sono perfettamente fuse; l’uomo sente quasi sempre che il suo rispetto per la donna agisce come una restrizione sulla propria attività sessuale, e sviluppa tutta la sua potenza solo quando si trova con un oggetto sessuale degradato e questo fatto è a sua volta determinato in parte dalla presenza di componenti perverse nelle mete sessuali, che non osa soddisfare con una donna che rispetta.

Ciò costituisce la fonte del suo bisogno di un oggetto sessuale degradato, di una donna eticamente inferiore, che non conoscendolo nelle sue altre relazioni sociali non può giudicarlo, ed a cui non deve attribuire scrupoli estetici.

(SUBLIMAZIONE)

L’incapacità dell’istinto sessuale di concedere una completa soddisfazione non appena accetta le prime richieste della civiltà diventa la fonte, tuttavia, delle più nobili conquiste culturali ottenute mediante una sublimazione sempre maggiore delle sue componenti istintuali. Infatti, quali motivi avrebbero gli uomini per adibire ad altri usi le forze istintive e sessuali se, mediante una loro distribuzione, potessero ottenere un piacere pienamente soddisfacente? Essi non abbandonerebbero mai quel piacere e non compirebbero più alcun progresso. Sembra, perciò, che l’inconciliabile differenza tra le esigenze dei due istinti – quello sessuale e quello egoistico – abbia reso gli uomini capaci di conquiste sempre maggiori, benchè soggetti, è vero, ad un costante pericolo al quale, sotto forma di nevrosi, oggi soccombono i più deboli.

(CIVILTA’ PRIMITIVE E PAURA DELLA DONNA)

 L’uomo primitivo è vittima di una perpetua disposizione all’angoscia…questa disponibilità all’angoscia si manifesta con maggiore forza in tutte le occasioni che differiscono in qualche modo dal normale, che implicano qualcosa di nuovo o inaspettato, qualcosa di non comprensibile o strano. Essa costituisce anche l’origine delle pratiche cerimoniali, estensivamente adottate nelle religioni più tarde, associate con l’inizio di ogni nuova impresa e di ogni nuovo periodo di tempo, i primordi della vita umana, animale e vegetale. I pericoli da cui l’uomo in angoscia si crede minacciato mai gli appaiono più vivi di quando si trova in una situazione pericolosa, e quella è per altro l’unica volta che ha senso proteggersi da esso. Nel matrimonio il primo rapporto sessuale può certamente esigere, in virtù della sua importanza, di essere preceduto da tali misure precauzionali (rituali, cerimonie, etc ndr)…

…(nelle civiltà primitive ndr) il rapporto con le donne è soggetto a restrizioni tanto solenni e numerose che abbiamo ogni ragione di dubitare sulla presunta libertà sessuale dei selvaggi….

L’uomo primitivo ovunque abbia eretto un tabù teme qualche pericolo e non c’è alcuni dubbio che in tutte queste regole volte a evitarlo si manifesti una paura generalizzata delle donneQuesta paura si basa forse sul fatto che la donna è diversa dall’uomo, sempre incomprensibile e misteriosa, strana e quindi apparentemente ostile. L’uomo teme di essere indebolito dalla donna, di restare infetto dalla sua femminilità e quindi di apparire incapace.

Il coito, scaricando le tensioni e provocando flaccidità, produce l’effetto che può rappresentare il prototipo di quel che l’uomo teme, e il rendersi conto dell’influenza che la donna esercita su di lui mediante il rapporto sessuale, la stima che ottiene da lui, possono giustificare l’aumento di questa paura. In tutto ciò non v’è nulla di desueto, nulla che non sia ancora vivo anche tra noi.

Sulla tendenza universale alla devalorizzazione della vita amorosa,
Sigmund Freud, 1912

Il maschio in crisi

Generalmente l’esibizionismo è un disturbo della sessualità. Mostrare il proprio organo, ma non perché sia potente. Per compensare l’impotenza

Vittorino Andreoli su L’Huffington Post

Il pathos nell’atteggiamento non appartiene alla grandezza; chi ha bisogno di atteggiamenti è falso…Attenzione alle  persone pittoresche!

Ecce homo, Friedrich Nietzsche

(“Sii uomo”)

Gli uomini sono molto più preoccupati e impegnati ad affermare la propria maschilità di quanto siano le donne nei confronti della loro femminilità. Queste hanno dimostrato chiaramente negli ultimi decenni che, pur non riconoscendosi nei ruoli tradizionali e pur essendo spesso accusate di non avere più il fascino e la seduttività del passato, non sono particolarmente preoccupate di perdere la propria femminilità. Questo fa presupporre che le donne percepiscano la femminilità come un dato naturale e sostanziale, che non viene scalfito dai cambiamenti comportamentali né minacciato dall’assunzione di nuovi ruoli, perché è vissuto come intrinseco al loro corpo. (…)

Come afferma Elisabeth Badinter: “L’ordine tanto spesso udito: “Sii uomo” implica che la cosa non va da sé e che la virilità non è poi così naturale come si vorrebbe credere. Essere uomo comporta un lavoro, uno sforzo che non sembra richiesto alla donna”

La costante preoccupazione nel dover difendere e ribadire la maschilità fa presupporre che questa sia percepita, a livello sociale e individuale, più come una costruzione culturale che come una condizione naturale.

Tra le diverse risposte “adattive” alla crisi della virilità, alcuni includono anche la tendenza da parte maschile ad appropriarsi degli attributi femminili, senza però riuscire a farli completamente propri, come dimostrano i fenomeni sempre più diffusi della transessualità e del travestitismo. Sembra infatti che la segreta paura di assomigliare alla donna, che molti riconoscono come elemento intrinseco all’identità maschile, sia stata progressivamente affiancata da un’invidia del potere femminile, ritenuta una “spia” della crisi della virilità.

Timore dell’omosessualità, molto più sviluppato negli uomini che nelle donne. Inoltre, sostiene Roberto Stoller, molti comportamenti che nella maggior parte delle società vengono considerati “naturalmente” maschili hanno, in realtà, una funzione difensiva nei confronti di una serie di paure, oltre a quella dell’omosessualità: paura delle donne, paura di essere troppo femminili, paura della propria passività. Perciò troviamo spesso, nell’uomo comune, atteggiamenti di ostentazione del coraggio, della forza e dell’aggressività, di svalutazione delle donne, dei loro interessi e comportamenti, e di solidarietà con gli altri uomini, purchè non siano omosessuali, proprio sulla base di questi principi.

(Il maschio tenero)

Emerge una figura maschile meno rigida e monolitica e, senza dubbio, più complessa rispetto allo stereotipo che ha caratterizzato l’epoca moderna. Una figura che già molti autori tentano di delineare, cercando anche di intravederne il percorso di crescita.
Sostanzialmente, esistono due filoni nell’analisi e nella letteratura sulla nuova, o nuove, maschilità. Da un lato gli autori come Robert Bly, che identificano il superamento della crisi del maschile con il recupero e la riappropriazione delle caratteristiche e degli archetipi ritenuti propri della maschilità; dall’altro lato, gli autori che sostengono che la ridefinizione dell’uomo debba contemplare una sorta di sintesi fra le caratteristiche del maschio tradizionale e alcuni aspetti, considerati più femminili, a cui gli uomini oggi si sono avvicinati.
Coloro che auspicano un recupero delle caratteristiche maschili partono dal presupposto che la relativa “femminilizzazione” degli uomini avvenuta a partire dagli anni Settanta abbia creato una generazione, quella dei cosiddetti maschi “teneri”, che, sebbene abbiano sviluppato caratteristiche estremamente nobili, sintetizzate in un atteggiamento gentile nei confronti degli altri e dell’esistenza, non si sono comunque sentiti più liberi, né più realizzati. Secondo Bly, “molti di questi uomini non sono felici. Si fa presto a notare la loro mancanza di energiaSono capace di preservare la vita, ma non esattamente di darla. Ironia della sorte, spesso li si vede al fianco di donne forti che sprigionano invece una vitalità decisa”.
E infine, sempre sugli uomini “teneri”: “Parte della sofferenza derivava da un senso di lontananza dal padre, che avvertivano in maniera acuta, ma il dolore scaturiva anche da matrimoni e relazioni problematiche. Avevano imparato a essere ricettivi, ma la ricettività non bastava a sostenere l’unione nei momenti difficili (…) Un maschio “tenero” sapeva dire: “Sento il tuo dolore e considero la tua vita importante quanto la mia, avrò cura di te e ti offrirò conforto”, ma non era in grado di affermare ciò che lui stesso voleva”.

(Possibilità future: il ritorno al maschio originario)

Secondo lo psicanalista Claudio Risè, l’attuale debolezza maschile non deriverebbe tanto dalla perdita del potere patriarcale, quanto da una cultura che ha umiliato il maschio, considerato “brutto e volgare”, cultura, tra l’altro, condivisa dagli uomini, che avrebbero interiorizzato questo processo di perdita di considerazione. Secondo l’autore, la perdita della considerazione dell’uomo sarebbe connessa alla generale caduta simbolica del fallo, che sosteneva la potenza generativa maschile, e quindi il potere patriarcale. La svalutazione del fallo, diventato oggi sinonimo di qualcosa di violento, prepotente e ottuso, costringerebbe gli uomini a subire una devirilizzazione, una sorta di castrazione psicologica e sociale, alla quale si dovrebbe reagire, rilanciando il significato originario e più autentico del potere fallico, quello cioè legato alla generosità del dare, insita nell’elargizione del liquido seminale nell’atto sessuale e nella dedizione al benessere dei cari propria del pater familias. Oltre che per il recupero simbolico del fallo, la rivalutazione del maschile dovrebbe passare anche attraverso il ritrovamento, fisico e psicologico, della Wilderness, la selvatichezza della natura incontaminata. Si tratta di una forza vitale, originaria e arcaica, non intellettuale, che corrisponderebbe alla natura primordiale dell’uomo e sarebbe capace di trasmettere una ricchezza emozionale, istintuale e ideativa, del tutto contrapposta a quella addomesticata che si vive nei recinti dell’azienda, della famiglia e delle convenzioni sociali.

(la paura di assomigliare alla donna)

Ogni uomo vive l’erezione da un lato come un evento primordiale, carico di potenza e di mistero e degno di venerazione, dall’altro come un meccanismo al di fuori del proprio controllo, di cui non si è mai completamente certi e che quindi suscita paura e insicurezze.

Scrive Arno Gruen: “Tutta l’infelicità insita nella pulsione maschile a dominare la donna si evidenzia nelle fantasie che gli uomini hanno durante l’atto sessuale. Si tratta spesso di fantasie del tutto impersonali e aggressive, che riducono la donna a un oggetto passivo…Disprezzando le donne, gli uomini possono sfuggire alla vera intimità di cui hanno paura perché dubitano della propria adeguatezza; in verità non credono che qualcuno possa accettarli senza riserve. Mi pare che il motivo per cui noi uomini abbiamo bisogno di fantasie sessuali aggressive sia poter compensare i nostri sentimenti di inadeguatezza”.

Sembra che la segreta paura di assomigliare alla donna, che molti riconoscono come elemento intrinseco all’identità maschile, sia stata progressivamente affiancata da un’invidia del potere femminile, ritenuta una “spia” della crisi della virilità.

L’invidia della sessualità femminile, che comprende la capacità seduttiva, la possibilità di mantere un’eccitazione prolungata e di provare più orgasmi

L’invidia è un sentimento doloroso, del quale è difficile liberarsi attraverso riflessioni di tipo razionale. È un meccanismo di difesa, un tentativo di recuperare la fiducia e la stima di se stessi attraverso la svalutazione di chi ha più successo e più opportunità…

L’invidioso spesso non si limita alla svalutazione mentale, ma elabora atteggiamenti di tipo aggressivo e distruttivo, cercando di danneggiare e di ostacolare la persona invidiata, colpevole, ai suoi occhi, di essere apprezzata più del dovuto.

…L’invidia maschile nei confronti delle donne viene riconosciuta dalla psicanalisi soltanto quando sostiene che l’uomo s difende da un rapporto troppo coinvolgente con l’altro sesso, per esempio cercando sempre nuove relazioni, perché teme l’onnipotenza femminile-materna, e la situazione di dipendenza che ne consegue.

Le nuove ferite degli uomini, Vera Slepoj, 2010