Tag: machismo

Come assi di coppe

Io starei ore e ore a guardare i video di Mussolini, come si muove, come parla, come gesticola. Mi fa morire dal ridere e insieme mi ispira malinconiche riflessioni su noi poveri maschietti contemporanei che siamo pelle che sanguina, continuamente frustata dal cilicio del rivolgimento storico, noi poveri maschietti contemporanei che siamo carne da cambiamento, disperati, franati, ceduti, perchè abbiamo perso la nostra superiorità sociale con la rivoluzione industriale e la modernità ha spazzato via per sempre il nostro ruolo riconosciuto. C’è da ridere, a guardarlo da un altro pianeta. Ed ecco che la meccanizzazione del lavoro e la tecnologicizzazione della società hanno reso inutile la superiorità fisica del maschio, il femminismo ha vinto, il patriarcato è crollato. Ma noi, invece di riflettere sulla realtà dei fatti e provare a prendere coscienza e finirla con le vecchie nostalgie, che facciamo? Ululiamo di dolore, lunghi latrati di cane bastonato, spelacchiato, orribilmente smagrito. Ma siamo talmente ottusi (e divertenti, se visti da un altro pianeta) che non ce ne accorgiamo. E anzi (solo divertenti? Siamo uno show!), anzi scambiamo tali ululati per ruggiti fieri e feroci. Ci vantiamo dei nostri moncherini scambiandoli con membra muscolose. Butto giù qualche elemento. Il celodurismo leghista, il gallismo berlusconiano, il “mi scopo la Boldrini di culo”, lo sprezzantesimo finto brillante di Renzi, fino allo yuppismo ottuso anni ’80, il vitellonismo mollaccione dell’Italia anni ’50 e il virilismo scenografico mussoliniano. Sono tutti segnali di un’identità maschile in piena crisi, che non è più sicura di niente e che quindi crea queste ideologie, mitologie, stereotipi, fuffa simbolica che vola via al minimo alito di vento. La posa, l’esibizione, l’ostentazione, sono tutti sintomi di una malattia giunta ad uno stadio terminale. Diceva Nietzsche in Ecce Homo: ”Il pathos nell’atteggiamento non appartiene alla grandezza; chi ha bisogno di atteggiamenti è falso. Attenzione alle persone pittoresche!”. Che poi gli atteggiamenti del maschio impaurito sono principalmente due: 1) Fa quadrato. Alza i ponti. Esaspera le logiche di branco. Investe tutta la propria energia nella faziosità della guerra dei sessi. Diventa sempre più chiuso, paraocchi, violento, misogino, omofobo, affermando in questo modo – con un’intensità piena di auto-cattiveria – una virilità su cui si hanno inconsciamente molti dubbi. 2) Cerca di comprendere le donne e accoglie in sé anche numerose caratteristiche prima specificatamente “femminili”, con risultati un po’ così così, che sono frutto di tempi precari e di cambiamento. Decide, in altre parole, di diventare “maschio comprensivo”, ma il più di volte diventa troppo debole e incerto, si gioca tutta la propria personalità e fermezza caratteriale. Forse perchè questa decisione di essere “aperto di mente” il più delle volte è elaborata razionalmente e dunque auto-imposta con notevole violenza intellettuale. E ciò provoca un grado di forzatura e innaturalità che di certo non fa bene alla psiche.

(Pubblicato su StupeFatti Blog)

Il maschio in crisi

Generalmente l’esibizionismo è un disturbo della sessualità. Mostrare il proprio organo, ma non perché sia potente. Per compensare l’impotenza

Vittorino Andreoli su L’Huffington Post

Il pathos nell’atteggiamento non appartiene alla grandezza; chi ha bisogno di atteggiamenti è falso…Attenzione alle  persone pittoresche!

Ecce homo, Friedrich Nietzsche

(“Sii uomo”)

Gli uomini sono molto più preoccupati e impegnati ad affermare la propria maschilità di quanto siano le donne nei confronti della loro femminilità. Queste hanno dimostrato chiaramente negli ultimi decenni che, pur non riconoscendosi nei ruoli tradizionali e pur essendo spesso accusate di non avere più il fascino e la seduttività del passato, non sono particolarmente preoccupate di perdere la propria femminilità. Questo fa presupporre che le donne percepiscano la femminilità come un dato naturale e sostanziale, che non viene scalfito dai cambiamenti comportamentali né minacciato dall’assunzione di nuovi ruoli, perché è vissuto come intrinseco al loro corpo. (…)

Come afferma Elisabeth Badinter: “L’ordine tanto spesso udito: “Sii uomo” implica che la cosa non va da sé e che la virilità non è poi così naturale come si vorrebbe credere. Essere uomo comporta un lavoro, uno sforzo che non sembra richiesto alla donna”

La costante preoccupazione nel dover difendere e ribadire la maschilità fa presupporre che questa sia percepita, a livello sociale e individuale, più come una costruzione culturale che come una condizione naturale.

Tra le diverse risposte “adattive” alla crisi della virilità, alcuni includono anche la tendenza da parte maschile ad appropriarsi degli attributi femminili, senza però riuscire a farli completamente propri, come dimostrano i fenomeni sempre più diffusi della transessualità e del travestitismo. Sembra infatti che la segreta paura di assomigliare alla donna, che molti riconoscono come elemento intrinseco all’identità maschile, sia stata progressivamente affiancata da un’invidia del potere femminile, ritenuta una “spia” della crisi della virilità.

Timore dell’omosessualità, molto più sviluppato negli uomini che nelle donne. Inoltre, sostiene Roberto Stoller, molti comportamenti che nella maggior parte delle società vengono considerati “naturalmente” maschili hanno, in realtà, una funzione difensiva nei confronti di una serie di paure, oltre a quella dell’omosessualità: paura delle donne, paura di essere troppo femminili, paura della propria passività. Perciò troviamo spesso, nell’uomo comune, atteggiamenti di ostentazione del coraggio, della forza e dell’aggressività, di svalutazione delle donne, dei loro interessi e comportamenti, e di solidarietà con gli altri uomini, purchè non siano omosessuali, proprio sulla base di questi principi.

(Il maschio tenero)

Emerge una figura maschile meno rigida e monolitica e, senza dubbio, più complessa rispetto allo stereotipo che ha caratterizzato l’epoca moderna. Una figura che già molti autori tentano di delineare, cercando anche di intravederne il percorso di crescita.
Sostanzialmente, esistono due filoni nell’analisi e nella letteratura sulla nuova, o nuove, maschilità. Da un lato gli autori come Robert Bly, che identificano il superamento della crisi del maschile con il recupero e la riappropriazione delle caratteristiche e degli archetipi ritenuti propri della maschilità; dall’altro lato, gli autori che sostengono che la ridefinizione dell’uomo debba contemplare una sorta di sintesi fra le caratteristiche del maschio tradizionale e alcuni aspetti, considerati più femminili, a cui gli uomini oggi si sono avvicinati.
Coloro che auspicano un recupero delle caratteristiche maschili partono dal presupposto che la relativa “femminilizzazione” degli uomini avvenuta a partire dagli anni Settanta abbia creato una generazione, quella dei cosiddetti maschi “teneri”, che, sebbene abbiano sviluppato caratteristiche estremamente nobili, sintetizzate in un atteggiamento gentile nei confronti degli altri e dell’esistenza, non si sono comunque sentiti più liberi, né più realizzati. Secondo Bly, “molti di questi uomini non sono felici. Si fa presto a notare la loro mancanza di energiaSono capace di preservare la vita, ma non esattamente di darla. Ironia della sorte, spesso li si vede al fianco di donne forti che sprigionano invece una vitalità decisa”.
E infine, sempre sugli uomini “teneri”: “Parte della sofferenza derivava da un senso di lontananza dal padre, che avvertivano in maniera acuta, ma il dolore scaturiva anche da matrimoni e relazioni problematiche. Avevano imparato a essere ricettivi, ma la ricettività non bastava a sostenere l’unione nei momenti difficili (…) Un maschio “tenero” sapeva dire: “Sento il tuo dolore e considero la tua vita importante quanto la mia, avrò cura di te e ti offrirò conforto”, ma non era in grado di affermare ciò che lui stesso voleva”.

(Possibilità future: il ritorno al maschio originario)

Secondo lo psicanalista Claudio Risè, l’attuale debolezza maschile non deriverebbe tanto dalla perdita del potere patriarcale, quanto da una cultura che ha umiliato il maschio, considerato “brutto e volgare”, cultura, tra l’altro, condivisa dagli uomini, che avrebbero interiorizzato questo processo di perdita di considerazione. Secondo l’autore, la perdita della considerazione dell’uomo sarebbe connessa alla generale caduta simbolica del fallo, che sosteneva la potenza generativa maschile, e quindi il potere patriarcale. La svalutazione del fallo, diventato oggi sinonimo di qualcosa di violento, prepotente e ottuso, costringerebbe gli uomini a subire una devirilizzazione, una sorta di castrazione psicologica e sociale, alla quale si dovrebbe reagire, rilanciando il significato originario e più autentico del potere fallico, quello cioè legato alla generosità del dare, insita nell’elargizione del liquido seminale nell’atto sessuale e nella dedizione al benessere dei cari propria del pater familias. Oltre che per il recupero simbolico del fallo, la rivalutazione del maschile dovrebbe passare anche attraverso il ritrovamento, fisico e psicologico, della Wilderness, la selvatichezza della natura incontaminata. Si tratta di una forza vitale, originaria e arcaica, non intellettuale, che corrisponderebbe alla natura primordiale dell’uomo e sarebbe capace di trasmettere una ricchezza emozionale, istintuale e ideativa, del tutto contrapposta a quella addomesticata che si vive nei recinti dell’azienda, della famiglia e delle convenzioni sociali.

(la paura di assomigliare alla donna)

Ogni uomo vive l’erezione da un lato come un evento primordiale, carico di potenza e di mistero e degno di venerazione, dall’altro come un meccanismo al di fuori del proprio controllo, di cui non si è mai completamente certi e che quindi suscita paura e insicurezze.

Scrive Arno Gruen: “Tutta l’infelicità insita nella pulsione maschile a dominare la donna si evidenzia nelle fantasie che gli uomini hanno durante l’atto sessuale. Si tratta spesso di fantasie del tutto impersonali e aggressive, che riducono la donna a un oggetto passivo…Disprezzando le donne, gli uomini possono sfuggire alla vera intimità di cui hanno paura perché dubitano della propria adeguatezza; in verità non credono che qualcuno possa accettarli senza riserve. Mi pare che il motivo per cui noi uomini abbiamo bisogno di fantasie sessuali aggressive sia poter compensare i nostri sentimenti di inadeguatezza”.

Sembra che la segreta paura di assomigliare alla donna, che molti riconoscono come elemento intrinseco all’identità maschile, sia stata progressivamente affiancata da un’invidia del potere femminile, ritenuta una “spia” della crisi della virilità.

L’invidia della sessualità femminile, che comprende la capacità seduttiva, la possibilità di mantere un’eccitazione prolungata e di provare più orgasmi

L’invidia è un sentimento doloroso, del quale è difficile liberarsi attraverso riflessioni di tipo razionale. È un meccanismo di difesa, un tentativo di recuperare la fiducia e la stima di se stessi attraverso la svalutazione di chi ha più successo e più opportunità…

L’invidioso spesso non si limita alla svalutazione mentale, ma elabora atteggiamenti di tipo aggressivo e distruttivo, cercando di danneggiare e di ostacolare la persona invidiata, colpevole, ai suoi occhi, di essere apprezzata più del dovuto.

…L’invidia maschile nei confronti delle donne viene riconosciuta dalla psicanalisi soltanto quando sostiene che l’uomo s difende da un rapporto troppo coinvolgente con l’altro sesso, per esempio cercando sempre nuove relazioni, perché teme l’onnipotenza femminile-materna, e la situazione di dipendenza che ne consegue.

Le nuove ferite degli uomini, Vera Slepoj, 2010

Paura delle donne

“(Su Clitemnestra ndr) Il dramma classico, forgiato nell’ambiente ateniese del V secolo, si prospetta come eredità dell’epica e della poesia arcaica misogina (Esiodo e Simonide), con il compito di esorcizzare, tramite vicende spesso cruente e feroci, le paure che da sempre attanagliano l’uomo, in questo caso specifico il timore suscitato dalla donna, in particolare dalla moglie apparentemente devota, repressa e segregata, che si immagina pronta ad esplodere e ribellarsi, rappresenta la prima generalizzazione della letteratura occidentale contro le donne, avendo macchiato con i suoi crimini tutte le spose.
Naturale l’associazione oppositiva con Penelope, simbolo della fedeltà coniugale: infatti, l’una intesse una rete fatale di morte e inganno, l’altra invece fila una tela a garanzia della propria virtù.
In quanto donna, è portatrice di una differenza e di un’inferiorità naturale e sessuale, come sostengono le teorie di Platone e soprattutto di Aristotele, statuale e politica, in quanto regina e xenia, vale a dire straniera greca, spartana, priva della cittadinanza ateniese.

“Nella rete di Clitemnestra”,
dal blog Aliceinwriting

I

Le donne sono una razza nemica….Mascherate da «sesso debole» sono quello forte….
L’uomo è diretto, la donna trasversale. L’uomo è lineare, la donna serpentina. Per l’uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l’arabesco. Lei è insondabile, sfuggente, imprevedibile. Al suo confronto il maschio è un bambino elementare che, a parità di condizioni, lei si fa su come vuole. E se, nonostante tutto, si trova in difficoltà, allora ci sono le lacrime, eterno e impareggiabile strumento di seduzione, d’inganno e di ricatto femminile.

La donna è baccante, orgiastica, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale. E quindi totalmente inaffidabile. Per questo, per secoli o millenni, l’uomo ha cercato di irreggimentarla, di circoscriverla, di limitarla, perché nessuna società regolata può basarsi sul caso femminile.

Sul sesso hanno fondato il loro potere mettendoci dalla parte della domanda, anche se la cosa, a ben vedere, interessa e piace molto più a lei che a lui. Il suo godimento — quando le cose funzionano — è totale, il nostro solo settoriale, al limite mentale («Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa» scrive Sartre).

Ma adesso che si sono finalmente «liberate» sono diventate davvero insopportabili. Sono micragnose, burocratiche, causidiche su ogni loro preteso diritto. Han perso, per qualche carrieruccia da segretaria, ogni femminilità, ogni dolcezza, ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno che sia, e spesso anche dei figli quando si degnano ancora di farli.

II

Considero la donna, meglio: la femmina, molto più vitale del maschio. È lei, che procrea, la protagonista del gran gioco della vita (quello reale, non quello virtuale) mentre il maschio è un fuoco malinconico e transeunte animato da un oscuro istinto di morte. La donna è la vita, l’uomo è la legge, la regola, il rigore, la morte (il contrasto tra Antigone e Creonte in Sofocle). Non a caso nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Platone, quando l’Essere primigenio, dopo la caduta, si scinde in due la Donna viene definita “la Vita” o “la Vivente” mentre l’Uomo è colui che “è escluso dall’Albero della Vita”.

È per riempire questo vuoto, per sopperire a questa impotenza procreativa (“l’invidia del pene” è una sciocchezza freudiana), che l’uomo si è inventato di tutto, la letteratura, la filosofia, la scienza, il diritto, il gioco regolato e il gioco di tutti i giochi, la guerra, che però oggi ha perso quasi tutto il suo fascino perché affidata alle macchine e anche perché in campo han voluto entrare pure le stronzette che pretendono di fare i soldati e vogliono fare, con i loro foularini, le corrispondenti di guerra (Ma state a casa, cretine, a fare figli. L’interesse della donna per la guerra è una perversione degli istinti. La donna, che dà la vita, non ha mai amato questo gioco di morte, tipicamente maschile. Ma ormai così è: le più assatanate guerrafondaie di questi ultimi anni sono state la Albright, Emma Bonino e quella pseudodonna e pseudonera di Condoleezza Rice).

Comunque sia è vero che da quando si sono “liberate” si sono appiattite sul maschile,diventandone una parodia, e insieme alla femminilità hanno perso anche il loro fiore più falso e più bello, il pudore, per il quale valeva la pena, appunto, di corteggiarle. Han perso la sapienza delle loro nonne alle quali bastava far intravedere la caviglia. Rivestitevi, sciocchine. All’uomo non interessa la vostra nudità, ma scartocciare, lentamente, la colorata e inquietante caramella anche se, alla fine, c’è sempre la solita, deludente, cosa.

III

Conosco molte trentenni, spesso belle, colte, eleganti (fini no, la ragazza “fine” è scomparsa dall’Occidente) che fan una fatica boia a trovare un partner. Non per una scopata (anche per quella, gli uomini, di fronte all’aggressività femminile, stan diventando tutti finocchi), ma un uomo che dia loro la sicurezza e il senso di protezione di cui hanno bisogno. Consiglio uno stage in Afghanistan. Troveranno degli uomini che le faranno rigar dritto, come meritano e come, nel fondo del cuore, desiderano.

Massimo Fini
(Leggi quiquiqui qui)

L’uomo, che per quanto si vanti e si glori ha sempre avuto paura della donna per quella fenditura da cui nasce la vita e il mistero, è oggi ulteriormente intimorito dall’aggressività di lei. Che non ti appoggia più teneramente la testa sulla spalla e tantomeno ti fa un maglione. Da che mondo è mondo la donna non seduce ma si fa sedurre. Insomma è stata sempre lei a condurre il gioco, ma in modo più malizioso e meno sfacciato. Una donna che si offre spudoratamente fa cadere ogni libido. (..)

Ancora Massimo Fini Sul Fatto Quotidiano

L’uomo, sempre più innamorato di sé, sempre più narciso, si è eccessivamente femminilizzato. Tien cura del proprio corpo come una donna, si depila, si deodora, si cosparge di creme, frequenta, al pari di lei, le beauty farm. Inoltre non ci sono più le occasioni per dimostrare la propria virilità e il proprio coraggio (la donna non ha bisogno di dimostrare coraggio, ce l’ha quando occorre, essendo antropologicamente preparata al parto), non fa più la guerra, non esiste più un orgoglio nazionale, la forza fisica, sostituita dalla tecnica, ha perso ogni importanza, serve al più per svitare i tappi delle bottiglie di acqua minerale o per mettere le valigie sulle reticelle dei treni. Ha perso vitalità. Un uomo-femmina interessa molto poco le donne dal punto di vista sessuale. Tanto vale, per dirla brutalmente con Céline, che “se la divorino tra di loro”.

Le donne sono state finora trattate dagli uomini come uccelli che, dopo aver spiccato il volo da una certa altezza, si sono smarriti abbassandosi fino a loro: come qualcosa di più fine, di più vulnerabile, di più selvaggio, di più singolare, di più dolce, di più spirituale – ma anche come qualcosa che si deve imprigionare affinchè non se ne rivoli via.

Ciò che nella donna incute rispetto e piuttosto spesso timore è la sua natura, che è “più naturale” di quella dell’uomo, la sua genuina rapace astuta duttilità, i suoi artigli di tigre sotto il guanto, la sua ingenuità nell’egoismo, la sua ineducabilità e intima selvatichezza, l’inafferrabilità, vastità, vaghezza dei suoi desideri e delle sue virtù…Ciò che, nonostante ogni paura, ispira pietà per questa bella e pericolosa gatta “donna”, è che essa è più sofferente, più vulnerabile, più bisognosa d’amore ed appare più condannata alla delusione di qualunque altro animale. Paura e pietà: con questi sentimenti l’uomo è stato finora di fronte alla donna, sempre con un piede già nella tragedia che lacera estasiando.

Al di là del bene e del male, Friedrich Nietzsche, 1885