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Se la donna non è degradata non c’è piacere

(IMPOTENZA PSICHICA)

Avanzerò l’ipotesi che l’impotenza psichica sia molto più diffusa di quanto non si creda e che, infatti, in una certa misura questo comportamento caratterizzi la vita amorosa dell’uomo civilizzato (…) gli uomini definiti psichicamente frigidi: costoro compiono sempre con successo l’atto sessuale, ma non ne ricavano alcun piacere particolare, e questo fatto è molto più comune di quanto si creda.

Due motivi dell’impotenza psichica: l’intensa fissazione incestuosa dell’infanzia e la frustrazione dovuta alla realtà nella adolescenza. Potrà sembrare non solo sgradevole ma anche paradossale, e purtuttavia si deve dire che per essere veramente liberi in amore si deve superare il rispetto per le donne e venire a patti con l’idea dell’incesto con la madre o con la sorella. Chi si sottoponesse a un serio esame di coscienza riguardo a questa esigenza, scoprirebbe certamente che considera l’atto sessuale fondamentalmente come qualcosa di degradante che insudicia e contamina non solo il corpo ma anche l’anima. L’origine di questa bassa opinione, che egli certamente non vorrà ammettere di possedere, va ricercata nel periodo della sua giovinezza durante la quale la corrente sensuale era già decisamente sviluppata ma il suo appagamento con un oggetto esterno alla famiglia era proibito quanto lo era con un oggetto incestuoso.

L’importanza psichica di un istinto aumenta in proporzione alla sua frustrazione.

I genitali in se stessi non hanno partecipato a quell’aspetto dello sviluppo umano riguardante la bellezza: sono rimasti animali e quindi anche l’amore è rimasto, nella sua essenza, animale come è sempre stato. Gli istinti erotici sono difficili da educare. La loro educazione a volte dà troppo, a volte troppo poco. Il modo in cui la civiltà cerca di trasformarli ha come prezzo una sensibile perdita di piacere, la persistenza degli impulsi inutilizzati può essere individuata nell’attività sessuale sotto forma di non-appagamento.

Potremmo, quindi, essere costretti a riconciliarci con l’idea che è assolutamente impossibile adeguare le esigenze dell’istinto sessuale a quelle della civiltà e che, in conseguenza del suo sviluppo, la razza umana non può evitare la rinuncia e la sofferenza nonché il pericolo di estinguersi in un lontanissimo futuro.

(DEGRADAZIONE DELL’OGGETTO SESSUALE)

Non appena si realizza la condizione di devalorizzazione psichica dell’oggetto sessuale, la sensualità può esprimersi liberamente e si possono sviluppare notevoli capacità sessuali e un alto grado di piacere.

Solo in una minoranza di persone le due correnti dell’affetto e della sensualità si sono perfettamente fuse; l’uomo sente quasi sempre che il suo rispetto per la donna agisce come una restrizione sulla propria attività sessuale, e sviluppa tutta la sua potenza solo quando si trova con un oggetto sessuale degradato e questo fatto è a sua volta determinato in parte dalla presenza di componenti perverse nelle mete sessuali, che non osa soddisfare con una donna che rispetta.

Ciò costituisce la fonte del suo bisogno di un oggetto sessuale degradato, di una donna eticamente inferiore, che non conoscendolo nelle sue altre relazioni sociali non può giudicarlo, ed a cui non deve attribuire scrupoli estetici.

(SUBLIMAZIONE)

L’incapacità dell’istinto sessuale di concedere una completa soddisfazione non appena accetta le prime richieste della civiltà diventa la fonte, tuttavia, delle più nobili conquiste culturali ottenute mediante una sublimazione sempre maggiore delle sue componenti istintuali. Infatti, quali motivi avrebbero gli uomini per adibire ad altri usi le forze istintive e sessuali se, mediante una loro distribuzione, potessero ottenere un piacere pienamente soddisfacente? Essi non abbandonerebbero mai quel piacere e non compirebbero più alcun progresso. Sembra, perciò, che l’inconciliabile differenza tra le esigenze dei due istinti – quello sessuale e quello egoistico – abbia reso gli uomini capaci di conquiste sempre maggiori, benchè soggetti, è vero, ad un costante pericolo al quale, sotto forma di nevrosi, oggi soccombono i più deboli.

(CIVILTA’ PRIMITIVE E PAURA DELLA DONNA)

 L’uomo primitivo è vittima di una perpetua disposizione all’angoscia…questa disponibilità all’angoscia si manifesta con maggiore forza in tutte le occasioni che differiscono in qualche modo dal normale, che implicano qualcosa di nuovo o inaspettato, qualcosa di non comprensibile o strano. Essa costituisce anche l’origine delle pratiche cerimoniali, estensivamente adottate nelle religioni più tarde, associate con l’inizio di ogni nuova impresa e di ogni nuovo periodo di tempo, i primordi della vita umana, animale e vegetale. I pericoli da cui l’uomo in angoscia si crede minacciato mai gli appaiono più vivi di quando si trova in una situazione pericolosa, e quella è per altro l’unica volta che ha senso proteggersi da esso. Nel matrimonio il primo rapporto sessuale può certamente esigere, in virtù della sua importanza, di essere preceduto da tali misure precauzionali (rituali, cerimonie, etc ndr)…

…(nelle civiltà primitive ndr) il rapporto con le donne è soggetto a restrizioni tanto solenni e numerose che abbiamo ogni ragione di dubitare sulla presunta libertà sessuale dei selvaggi….

L’uomo primitivo ovunque abbia eretto un tabù teme qualche pericolo e non c’è alcuni dubbio che in tutte queste regole volte a evitarlo si manifesti una paura generalizzata delle donneQuesta paura si basa forse sul fatto che la donna è diversa dall’uomo, sempre incomprensibile e misteriosa, strana e quindi apparentemente ostile. L’uomo teme di essere indebolito dalla donna, di restare infetto dalla sua femminilità e quindi di apparire incapace.

Il coito, scaricando le tensioni e provocando flaccidità, produce l’effetto che può rappresentare il prototipo di quel che l’uomo teme, e il rendersi conto dell’influenza che la donna esercita su di lui mediante il rapporto sessuale, la stima che ottiene da lui, possono giustificare l’aumento di questa paura. In tutto ciò non v’è nulla di desueto, nulla che non sia ancora vivo anche tra noi.

Sulla tendenza universale alla devalorizzazione della vita amorosa,
Sigmund Freud, 1912