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Paura delle donne

“(Su Clitemnestra ndr) Il dramma classico, forgiato nell’ambiente ateniese del V secolo, si prospetta come eredità dell’epica e della poesia arcaica misogina (Esiodo e Simonide), con il compito di esorcizzare, tramite vicende spesso cruente e feroci, le paure che da sempre attanagliano l’uomo, in questo caso specifico il timore suscitato dalla donna, in particolare dalla moglie apparentemente devota, repressa e segregata, che si immagina pronta ad esplodere e ribellarsi, rappresenta la prima generalizzazione della letteratura occidentale contro le donne, avendo macchiato con i suoi crimini tutte le spose.
Naturale l’associazione oppositiva con Penelope, simbolo della fedeltà coniugale: infatti, l’una intesse una rete fatale di morte e inganno, l’altra invece fila una tela a garanzia della propria virtù.
In quanto donna, è portatrice di una differenza e di un’inferiorità naturale e sessuale, come sostengono le teorie di Platone e soprattutto di Aristotele, statuale e politica, in quanto regina e xenia, vale a dire straniera greca, spartana, priva della cittadinanza ateniese.

“Nella rete di Clitemnestra”,
dal blog Aliceinwriting

I

Le donne sono una razza nemica….Mascherate da «sesso debole» sono quello forte….
L’uomo è diretto, la donna trasversale. L’uomo è lineare, la donna serpentina. Per l’uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l’arabesco. Lei è insondabile, sfuggente, imprevedibile. Al suo confronto il maschio è un bambino elementare che, a parità di condizioni, lei si fa su come vuole. E se, nonostante tutto, si trova in difficoltà, allora ci sono le lacrime, eterno e impareggiabile strumento di seduzione, d’inganno e di ricatto femminile.

La donna è baccante, orgiastica, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale. E quindi totalmente inaffidabile. Per questo, per secoli o millenni, l’uomo ha cercato di irreggimentarla, di circoscriverla, di limitarla, perché nessuna società regolata può basarsi sul caso femminile.

Sul sesso hanno fondato il loro potere mettendoci dalla parte della domanda, anche se la cosa, a ben vedere, interessa e piace molto più a lei che a lui. Il suo godimento — quando le cose funzionano — è totale, il nostro solo settoriale, al limite mentale («Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa» scrive Sartre).

Ma adesso che si sono finalmente «liberate» sono diventate davvero insopportabili. Sono micragnose, burocratiche, causidiche su ogni loro preteso diritto. Han perso, per qualche carrieruccia da segretaria, ogni femminilità, ogni dolcezza, ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno che sia, e spesso anche dei figli quando si degnano ancora di farli.

II

Considero la donna, meglio: la femmina, molto più vitale del maschio. È lei, che procrea, la protagonista del gran gioco della vita (quello reale, non quello virtuale) mentre il maschio è un fuoco malinconico e transeunte animato da un oscuro istinto di morte. La donna è la vita, l’uomo è la legge, la regola, il rigore, la morte (il contrasto tra Antigone e Creonte in Sofocle). Non a caso nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Platone, quando l’Essere primigenio, dopo la caduta, si scinde in due la Donna viene definita “la Vita” o “la Vivente” mentre l’Uomo è colui che “è escluso dall’Albero della Vita”.

È per riempire questo vuoto, per sopperire a questa impotenza procreativa (“l’invidia del pene” è una sciocchezza freudiana), che l’uomo si è inventato di tutto, la letteratura, la filosofia, la scienza, il diritto, il gioco regolato e il gioco di tutti i giochi, la guerra, che però oggi ha perso quasi tutto il suo fascino perché affidata alle macchine e anche perché in campo han voluto entrare pure le stronzette che pretendono di fare i soldati e vogliono fare, con i loro foularini, le corrispondenti di guerra (Ma state a casa, cretine, a fare figli. L’interesse della donna per la guerra è una perversione degli istinti. La donna, che dà la vita, non ha mai amato questo gioco di morte, tipicamente maschile. Ma ormai così è: le più assatanate guerrafondaie di questi ultimi anni sono state la Albright, Emma Bonino e quella pseudodonna e pseudonera di Condoleezza Rice).

Comunque sia è vero che da quando si sono “liberate” si sono appiattite sul maschile,diventandone una parodia, e insieme alla femminilità hanno perso anche il loro fiore più falso e più bello, il pudore, per il quale valeva la pena, appunto, di corteggiarle. Han perso la sapienza delle loro nonne alle quali bastava far intravedere la caviglia. Rivestitevi, sciocchine. All’uomo non interessa la vostra nudità, ma scartocciare, lentamente, la colorata e inquietante caramella anche se, alla fine, c’è sempre la solita, deludente, cosa.

III

Conosco molte trentenni, spesso belle, colte, eleganti (fini no, la ragazza “fine” è scomparsa dall’Occidente) che fan una fatica boia a trovare un partner. Non per una scopata (anche per quella, gli uomini, di fronte all’aggressività femminile, stan diventando tutti finocchi), ma un uomo che dia loro la sicurezza e il senso di protezione di cui hanno bisogno. Consiglio uno stage in Afghanistan. Troveranno degli uomini che le faranno rigar dritto, come meritano e come, nel fondo del cuore, desiderano.

Massimo Fini
(Leggi quiquiqui qui)

L’uomo, che per quanto si vanti e si glori ha sempre avuto paura della donna per quella fenditura da cui nasce la vita e il mistero, è oggi ulteriormente intimorito dall’aggressività di lei. Che non ti appoggia più teneramente la testa sulla spalla e tantomeno ti fa un maglione. Da che mondo è mondo la donna non seduce ma si fa sedurre. Insomma è stata sempre lei a condurre il gioco, ma in modo più malizioso e meno sfacciato. Una donna che si offre spudoratamente fa cadere ogni libido. (..)

Ancora Massimo Fini Sul Fatto Quotidiano

L’uomo, sempre più innamorato di sé, sempre più narciso, si è eccessivamente femminilizzato. Tien cura del proprio corpo come una donna, si depila, si deodora, si cosparge di creme, frequenta, al pari di lei, le beauty farm. Inoltre non ci sono più le occasioni per dimostrare la propria virilità e il proprio coraggio (la donna non ha bisogno di dimostrare coraggio, ce l’ha quando occorre, essendo antropologicamente preparata al parto), non fa più la guerra, non esiste più un orgoglio nazionale, la forza fisica, sostituita dalla tecnica, ha perso ogni importanza, serve al più per svitare i tappi delle bottiglie di acqua minerale o per mettere le valigie sulle reticelle dei treni. Ha perso vitalità. Un uomo-femmina interessa molto poco le donne dal punto di vista sessuale. Tanto vale, per dirla brutalmente con Céline, che “se la divorino tra di loro”.

Le donne sono state finora trattate dagli uomini come uccelli che, dopo aver spiccato il volo da una certa altezza, si sono smarriti abbassandosi fino a loro: come qualcosa di più fine, di più vulnerabile, di più selvaggio, di più singolare, di più dolce, di più spirituale – ma anche come qualcosa che si deve imprigionare affinchè non se ne rivoli via.

Ciò che nella donna incute rispetto e piuttosto spesso timore è la sua natura, che è “più naturale” di quella dell’uomo, la sua genuina rapace astuta duttilità, i suoi artigli di tigre sotto il guanto, la sua ingenuità nell’egoismo, la sua ineducabilità e intima selvatichezza, l’inafferrabilità, vastità, vaghezza dei suoi desideri e delle sue virtù…Ciò che, nonostante ogni paura, ispira pietà per questa bella e pericolosa gatta “donna”, è che essa è più sofferente, più vulnerabile, più bisognosa d’amore ed appare più condannata alla delusione di qualunque altro animale. Paura e pietà: con questi sentimenti l’uomo è stato finora di fronte alla donna, sempre con un piede già nella tragedia che lacera estasiando.

Al di là del bene e del male, Friedrich Nietzsche, 1885

Cos’è la cultura?

Che cosa vuol dire vivere? Vivere – ciò vuol dire: scuotersi continuamente di dosso qualcosa che vuol morire; vivere – ciò vuol dire: essere crudeli e inesorabili contro tutto ciò che diventa in noi, e non solo in noi, debole e vecchio. Vivere – ciò significa dunque: essere senza pietà verso i moribondi, i miseri e i vecchi? Essere continuamente assassini?…

Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza

La cultura è ciò che resta dopo aver dimenticato tutto ciò che si è studiato

Gaetano Salvemini

Il dotto, che in fondo si limita a “compulsare” i libri perde alla fine completamente la capacità di pensare da solo.  Se non compulsa non pensa. Quando pensa, risponde a uno stimolo (un pensiero letto). Alla fine non fa che reagire. Il dotto pone tutta la sua energia nel dire si e no, nella critica del già pensato – egli stesso non pensa più. L’istinto di autodifesa si è rammollito; diversamente si rivolterebbe contro i libri. Il dotto – Un decadent.
L’ho visto con i miei occhi: nature dotate, ricche e nate per essere libere, ammazzate dalla lettura già a trent’anni, ridotti ormai a fiammiferi, che bisogna strofinare perchè diano scintille – “pensieri”.
Leggere un libro di prima mattina, al giungere del giorno, nella piena freschezza, nell’aurora della propria forza, questo io lo chiamo vizio!

Friedrich Nietzsche, Ecce homo