Tag: scrittura

Basta stronzate, chiudo il blog

Questo blog riunisce quelle che per me sono le cose migliori che ho scritto e appuntato dal 2005 fino a oggi, cioè da quando ho cominciato a scrivere sul web.
Gran parte di queste mi danno la nausea al solo pensiero. Però ci sono pure cose carine che avrebbero bisogno di essere riscritte e che quindi, al contrario delle prime, mi danno la nausea al solo pensiero.
Per questo è arrivata l’ora di chiuderlo, questo blog, così come ho fatto con gli altri quattro precedenti.
Sarebbe tutto molto comico, se solo non fosse molto comico.
Cinque blog personali in sedici anni. Più una miriade di progetti, collaborazioni, articoli, recensioni, pezzi brillanti, frasi ad effetto, citazioni a cazzo, strizzatine d’occhio, narcisismo di fondo, sfacciata arroganza, autocompiacimento da genietto di provincia, dabbenaggine da povero illuso, anticapitalismo da anima bella, recriminazionismo da adolescente viziato, francofortismo da bambino capriccioso.
Quante parole sprecate? Quante stronzate evitabili? Tante, quasi tutte.
Il disastro è sia formale (Dio quelle sfilze di aggettivi! E lo stile artificioso! E il periodare affettato! E che ridondanza! Tutto così gonfio, turgido, infoiato! Una perenne tempesta ormonale che diventa ridicola non appena fai un passo indietro e la osservi da un po’ più lontano. Pensavi di avere talento e invece era solo testardaggine e allupamento) sia sostanziale (come fai a parlare di certe cose senza conoscere almeno un po’ l’economia? La storia? La biologia? La chimica? La fisica? La neuropsichiatria? Come fai a scrivere di libri e film senza esserti mai sforzato di approfondire la critica letteraria e cinematografica? Come fai a fare narrativa senza cimentartici quotidianamente come l’artigiano e la sua officina, come l’atleta e i suoi allenamenti? Come fai ad essere arrivato a 30 anni senza aver mai sentito parlare del gruppo degli Annales? E senza conoscere la filosofia analitica e Wittgenstein e il neopositivismo e il pragmatismo americano? E senza aver mai letto seriamente almeno la Bibbia, Omero, Shakespeare e i tragici greci? E senza…? E senza…? E senza…?) (Cosa cazzo esprimi opinioni, affermi, sostieni, analizzi, critichi, se non sai niente?!?).
Per questo, ma anche per molto altro, meglio chiuderla qui. Basta stronzate. Si ritornerà a scrivere un giorno, o forse no. Chi lo sa.

Estetica del taglio, Tommaso Ariemma

La mia recensione di “Sul filo del rasoio. Estetica e filosofia del taglio”. Doveva essere pubblicata su Libido Legendi ma purtroppo il progetto è naufragato.

Tommaso Ariemma, Sul filo del rasoio. Estetica e filosofia del taglio. Aracne Editore. 2013, pp. 88, 10 euro, ISBN – 9788854870321

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Appunti base-base: la civiltà peccato originale dell’uomo

In principio l’uomo impiegava tutto il giorno a cacciare e raccogliere frutti e piante selvatiche. Non c’era tempo per niente che non fosse il lavoro (di caccia e raccolta) necessario per la sussistenza alimentare. Non c’era tempo neanche per il potere e il comando – D’altronde, chi comandi? Comandi di fare cosa? La “società” era naturalmente egualitaria

Poi, tramite la prima invenzione tecnologica: l’agricoltura, l’uomo cominciò a controllare i frutti e le piante che il terreno produceva. Poi con le innovazioni tecnologiche nell’agricoltura, tipo l’aratro, la sua efficacia venne incrementata a dismisura.

Con due effetti:

1) L’uomo ebbe a disposizione più tempo.

2) L’uomo cominciò a produrre un surplus di prodotti della terra. Una quantità di derrate alimentari che dovevano essere conservate e gestite.

Nei villaggi infatti si crearono gruppi di persone che non lavorava la terra ma si occupava di conservare e gestire il surplus di produzione. Il surplus di tempo venne interamente concesso a questo gruppo di persone per permettere loro di gestire il surplus di produzione.

Questi, a tutti gli effetti, si occupavano di “amministrazione” , e gettarono le basi per un modo più “mentale” e meno “fisico” di lavorare e vivere. Ad esempio, appunto per motivi di amministrazione, inventarono la scrittura, con cui riuscivano a gestire e fissare su una superficie durevole quantità prima impensabili di informazioni.

Questi amministratori, che gestivano il prodotto del lavoro di chi lavorava la terra, e che dunque dipendevano materialmente da essi, man mano assunsero un ruolo privilegiato all’interno della comunità. Forse per il tipo di lavoro, meno sfiancante, forse per la quantità di tempo a disposizione, che permise loro di muoversi in modo strategico sul tavolo di gioco del potere, questa classe di amministratori diventò presto la classe dirigente della comunità.

Una classe che, generazione dopo generazione, adottò uno stile di vita migliore rispetto al resto della comunità. Perché, in virtù della loro attività di “amministratori”, avevano accesso a grandi quantità di derrate alimentari, e quindi poterono usufruire di una parte più consistente di queste.

Una classe che possedeva inoltre l’arma della scrittura, uno strumento “magico” e immediatamente “trascendentale”, che portava la parola al di fuori del tempo e della realtà materiale del lavoro nei campi.

Con la scrittura, per via del suo carattere “oltreumano”, era più facile stabilire cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Essa fu alla base dell’istituzionalizzazione della legge e della religione.

Un brano da “Gesù lava più bianco, ovvero Come la Chiesa inventò il marketing”, 2014, Bruno Ballardini, Minimum Fax:

“Oggi, in piena civiltà della scrittura stentiamo a comprendere come potesse essere vissuta la scrittura a quell’epoca (origini del cristianesimo, predicazione di Paolo di Tarso ndr). Scrive Walter j. Ong: ” La scrittura ha trasformato la mente umana più di qualunque altra invenzione. Essa crea ciò che è stato definito un “linguaggio decontestualizzato” o una forma di comunicazione verbale “autonoma”, vale a dire un tipo di discorso che, a differenza di quello orale, non può essere discusso con il suo autore, poichè ha perso il contatto con esso. Le culture orali conoscono un tipo di discorso autonomo che utilizzano in forme rituali fisse, ad esempio nei vaticini o nelle profezie: chi gli dà la voce è considerato solo un tramite e non la fonte. L’Oracolo di Delfi non aveva responsabilità su quello che diceva, poichè i suoi responsi venivano percepiti come la voce di Dio. La scrittura, e ancora di più la stampa, hanno in sè qualcosa di questa facoltà oracolare. Come il vate o il profeta, il libro trasmette un messaggio derivante da una fonte, rappresentata da chi ha effettivamente “parlato” o scritto il libro. L’autore potrebbe essere sfidato se fosse raggiungibile, ma di fatto egli non può essere raggiunto in nessun libro. Non esistono modi diretti di confutare un testo. Anche dopo una confutazione totale e distruttrice, esso dirà ancora esattamente le stesse cose di prima. Questo è uno dei motivi per cui l’espressione il libro dice ha assunto popolarmente lo stesso significato di è vero“. Anticamente i messaggi che si materializzavano dai segni scolpiti sulla pietra nella mente di chi li leggeva riempivano di stupore gli animi delle persone semplici, e gli scribi che operavano questo prodigio erano visti come depositari di straordinari poteri magici poichè erano in grado di far parlare le pietre”.

Legge e religione che, proprio per il loro rapporto con la scrittura, e dunque con l’amministrazione del surplus, furono fin dall’inizio di supporto alla neonata classe dirigente. La loro arma di legittimazione.

Luoghi del potere – quel “potere” che prima non esisteva – diventarono il deposito, il tribunale e il tempio.

Tutto ciò è stato reso possibile dalle innovazioni tecnologiche che portarono al surplus di tempo e produzione.

Ciò portò alla stratificazione sociale e alla gerarchizzazione della società. Ma più del 90% della popolazione restava a lavorare la terra. La civiltà è una ingiustizia di pochissimi portata avanti nei confronti di moltissimi. È il peccato originale.