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L’anticristo, Nietzsche

Questo libro è riservato a pochissimi. Forse nemmeno uno di essi è ancora nato.
Solo il postdomani mi si addice – C’è chi viene al mondo, postumo.
Le condizioni alle quali mi comprendono, e allora per forza comprendono – le conosco anche troppo bene.
Uno deve essere inflessibile fino alla durezza nelle cose dello spirito, per sopportare anche soltanto la mia serietà, la mia passione.
Uno dev’essere avvezzo a vivere sui monti – a vedere sotto di se il meschino ciarlare dell’epoca sulla politica e sull’egoismo dei popoli. Uno dev’essere divenuto indifferente, nè deve mai domandare se la verità serva, se per qualcuno essa diventi sorte ineluttabile…
Una predilezione della forza per domande di cui nessuno oggi ha il coraggio; il coraggio del proibito; la predisposizione al labirinto.
Una esperienza di sette solitudini. Nuove orecchie per nuova musica. Nuovi occhi per il lontanissimo. Una nuova coscienza per verità fin qui rimaste mute.
E volontà per l’economia in grande stile: conservare intatti la propria energia, il proprio entusiasmo…e rispetto di sè; l’amore di sè; l’incondizionata libertà verso se stessi…
Ebbene si! Questi soli sono i miei lettori, i miei lettori predestinati: che importa del resto? – il resto è solo l’umanità – All’umanità uno deve essere superiore per forza, per altezza d’animo – per disprezzo…

Prefazione de “L’anticristo”, Friedriche Nietzsche

La morale, il Principio di Realtà, il Super Io
Dobbiamo essere quel che dobbiamo-essere?

Pensiamo oggi, l’uomo contemporaneo.
Pensiamo ai miliardi di uomini nati vissuti morti nelle diverse latitudini ed epoche storiche.
Quanto dolore, quanta sofferenza e frustrazione, deriva dalla distanza tra l’essere e il dover-essere?
Tra il comportamento quotidiano e gli imperativi morali ai quali ci sentiamo di dover obbedire?
E poi – altro discorso – quanta violenza e cattiveria deriva da questa distanza, da questo dolore sofferenza frustrazione?

La violenza genera altra violenza. Stesso discorso vale per dolore sofferenza frustrazione. È un circolo vizioso, bagnato nel sangue e nell’odio.

Comunque, si diceva, la distanza tra essere e dover-essere.

Le nevrosi, per Freud, derivano tutte dal cattivo rapporto tra Super Io (l’imperativo morale) ed Es (l’istinto).
Nevrotico è quell’individuo il cui l’Io (entità mediatrice) non riesce ad equilibrare le istanze dell’Es e quelle del Super Io.

Ma Nietzsche – totalmente fuori dal consorzio civile – pone una questione che il “mondano” Freud non arriva ad indagare.

Queste imposizioni morali, da dove arrivano?
Che storia hanno?
Come si è formato, nei millenni di storia umana, il contenuto del nostro Super Io?

Ma soprattutto.
Sono giuste per l’uomo, queste imposizioni morali?
Sono coerenti con La Vita, ovvero favoriscono il percorso verso il pieno dispiegamento dell’Uomo in tutte le sue potenzialità?

Freud si limita a dire che La Società – tramite il principio di Realtà radicato nel Super Io – costringe necessariamente l’individuo a sacrificare una fetta di godimento (il Principio del Piacere radicato nell’Es) per garantire la sua sicurezza e la sua autoconservazione.
Ma non esprime nessun giudizio di valore sul contenuto, sulla sostanza, di questo Principio di Realtà.
Sulle imposizioni morali del Super Io.
Freud non arriva a tanto.

Invece questa è la battaglia principale di Nietzsche. Il giudizio di valore.
Dice Nietzsche.

Le imposizioni morali del nostro Super Io, frutto di millenni di cristianesimo, ebraismo e metafisica, sono la cosa più contronatura, antivitale e mortifera che esista.

Esse sono state plasmate da energie al tramonto, da gente prossima alla morte, che – per sopravvivere – potevano soltanto odiare ogni manifestazione della Pienezza di Vita.
E di questo odio hanno fatto un sistema, che si chiama ordine morale del mondo, metafisica, monoteismo metafisico, cristianesimo.

Per spiegare questo, egli chiama a giudizio tutta la storia umana.

Cos’era la religione, e cos’è diventata

La religione, prima della metafisica monoteistica e dall’ordine morale del mondo inventati dagli ebrei e perfezionata dal cristianesimo di Paolo di Tarso, era un modo per impiegare una sovrabbondanza di forza, di salute, di potenza.

Un popolo è talmente in salute, talmente ricco e pieno di vita, che crea un Dio o più Dei e destina loro una parte della sua sovrabbondanza di forze.

Un uomo nel pieno delle sue forze, così come un popolo – una umanità – nel pieno delle sue forze, non ha paura di guardare in faccia la realtà, il divenire, affrontare tutte le manifestazioni umane e naturali, farsi compenetrare dalla natura, dal cosmo e dall’umanità, racchiudere in sé le spinte all’essere, della sovrabbondanza di vita, ma anche la tensione verso l’annullamento – la coscienza della morte – essere tutto e il contrario di tutto.
(Questo era lo spirito della tragedia greca secondo La Nascita della Tragedia, il primo libro di Nietzsche. Non catarsi, non purificazione, non allontanare-il-dolore – come diceva Aristotele – bensì immergersi nell’estremo dolore e nell’estremo piacere, respirare e mordere tutta l’enormità della natura, del cosmo e dell’umanità).

Il Dio o gli Dei in questione non sono certo “buoni” come intendiamo oggi il concetto di buono.

Che bisogno c’è di “bontà”, infatti, se siamo vivi a tal punto, se siamo al culmine della nostra forza?

Essi – il Dio o gli Dei in questione – sono semplicemente umani.
Santificazione e celebrazione della straordinaria grandezza dell’Essere Umano.

Così sono gli Dei dell’antica Grecia, la Grecia presocratica – grandi contenitori di energie e significati di un popolo libero, esuberante, entusiasta, al culmine del proprio splendore.

Così è il Dio degli ebrei durante la loro Età dell’Oro.
Un Dio bastardo e arbitrario, terribile e sfaccettato, che racchiude dentro di sé tutto il “bene” e il “male” della natura, del mondo e dell’umanità.

La decadenza dei greci: la metafisica

Quando per i greci comincia la decadenza, inventano la metafisica. Socrate, Platone, Aristotele.
Inventano un “altro mondo”, frutto della nostalgia di quando erano al culmine della potenza, e lo chiamano Iperuranio, mondo delle idee.
Inventano e teorizzano La Perfezione. Una entità astratta, inesistente, di cui gli elementi della realtà sono soltanto ombre smunte, imitazioni imperfette.
I greci della decadenza spaccano il mondo in due.
Creano due “mondi”: uno che esiste, l’altro che non esiste.
Ma non finisce qui.
Essi, con la metafisica, rendono il mondo che non esiste più importante del mondo che esiste.
Questa follia è la prova della loro decadenza, del loro essere prossimi a soccombere.

La decadenza degli ebrei:
il monoteismo metafisico e l’ordine morale del mondo

Con la decadenza degli ebrei, il Dio degli ebrei comincia a cambiar fattezze. Da bastardo e arbitrario – frutto della sovrabbondanza di energia – diviene sempre più astratto e “spirituale”, sempre più “buono” e lontano del mondo.
Il capovolgimento folle della metafisica già operato dai greci, negli ebrei viene potenziato dall’utilizzo della Scrittura, delle Scritture.
Gli ebrei divengono allora il popolo della dittatura del Libro, della Legge Scritta che si impone come Guida e Assoluto Condizionamento della vita dei viventi
Viene così capovolto quello che fino ad allora è stato il rapporto tra Vita e Scrittura.

Ma chi ha scritto il Libro che diventa Guida e Assoluto Condizionamento per la vita dei viventi?
Un popolo in decadenza, che sta soccombendo, che teme la morte perché è prossimo alla morte.

Così la vita dei viventi viene Guidata e Assolutamente Condizionata dalle Scritture di un Libro scritto da moribondi.
I moribondi comandano, piano piano, secolo dopo secolo, sui vivi.

Succede così che gli ebrei cominciano ad attaccarsi alla loro mediocrità debolezza vecchiaia malattia fiacchezza. Ne fanno – con sofisticati meccanismi intellettuali e soprattutto con la potenza dello strumento blasfemo della Scrittura – ne fanno l’unico modo legittimo di vivere.

Questo è il disastro dell’ordine morale del mondo. Il suo sacrilegio nei confronti della Vita.

Viene intessuta una fitta tela di dover-essere e imposizioni morali totalmente contronatura che soffocano ogni impulso vitale dell’uomo.
Viene legittimata in questo modo la mediocrità debolezza vecchiaia malattia fiacchezza.
Vengono combattuti e osteggiati tutti gli istinti della vita traboccante – propria di una umanità al culmine della propria salute.

Ai discendenti dei discendenti dei discendenti degli ebrei – tramite l’ordine morale del mondo – vengono soffocate e mortificate tutte le più pure energie vitali. Queste divengono vergogna, peccato, senso di colpa.

In pratica, per conformarsi alla mediocrità debolezza vecchiaia malattia fiacchezza di un popolo in declino, tutti i componenti di quel popolo – anche quelli più giovani e forti – sono costretti a diventare anch’essi mediocri, deboli, vecchi, malati e fiacchi.

Gli ebrei dell’ordine morale del mondo sono come i greci della metafisica.
Stanno per morire e non vogliono ammettere di star per morire.

Muoiono, ma restano in vita, impedendo così il corso naturale delle cose.
L’ordine morale del mondo, tenuto in piedi dalla Scrittura, è il loro accanimento terapeutico.

Gli ebrei pronunciano così la loro grande bestemmia.
Vanno contro natura.

Passata la fase della salute, secondo natura, c’è il tramonto, la vecchiaia, e poi la morte.
Secondo natura, un uomo – o un popolo, o una umanità – che sta per soccombere deve soccombere per fare spazio ad altro. Il ciclo vitale nascita-vita-distruzione è la regola di tutto. Di uomini, popoli, imperi, regole, usi e costumi. È la vita. È la realtà. È il mondo.

Con gli ebrei, succede che il moribondo non vuole morire. E non ha la forza – ovviamente – per rimettersi in sesto, tornare pienamente vivente. E quindi vuole sopravvivere, restare moribondo per l’eternità.

Fin qui tutto normale. Il problema è che gli ebrei ci riescono.

Sopravvivono in maniera miserevole, strisciando come vermi e impediscono ogni evoluzione, ogni ricambio.
Tutta la vita possibile, le energie, le evoluzioni future dell’uomo, le potenzialità, tutto viene soffocato per via di questi corpi morti che circolano ancora contronatura e dettano Legge.

Non c’è più spazio per il libero dispiegarsi di niente.
La realtà viene fissata dalle Scritture, dalla morale, dalla metafisica e dalla religione.
La realtà viene gestita secondo regole elaborate da gente morta che non si vuole togliere dai piedi.

Si nega il divenire, il tempo, la vita, la storia, la realtà.
Il presente e il futuro si cristallizza nelle Leggi dei Morti.

Ma fin qui, niente di troppo disastroso, a conti fatti.

Questa dinamica malata, perversa, blasfema, appartiene soltanto agli ebrei.
Così come la metafisica dei greci in decadenza probabilmente si sarebbe esaurita prima o poi, spazzata via da qualche forza vitale più forte.

Ma la sciagura più grande, quella che rende universale la malattia la perversità la blasfemia, è il cristianesimo di Paolo di Tarso, che contamina tutto il mondo allora conosciuto.

Il Dio in croce simbolo di

Il cristianesimo è l’evoluzione finale di questo tipo di ebraismo che-non-accetta-di-morire-e-lasciare-spazio-al-nuovo.

È lo stratagemma geniale e diabolico per permettere ad un un morto di continuare a sopravvivere trasformando gli altri vivi in morti.

Se il Dio – come è stato detto – è la rappresentazione di un popolo, di un’umanità, di un tipo d’uomo, allora il Dio dei cristiani svela la sua natura ad una prima occhiata.

Il Dio in croce, il dio che soffre, il dio moribondo e pieno di ferite.

Il cristianesimo è la religione di tutti coloro che soffrono, che sono sbagliati per questo mondo, che esprimono debolezza, fiacchezza, malattia.

Il cristianesimo legittima tutta la sofferenza e agisce sul resto del mondo con tutta la violenza, l’odio e il risentimento di cui è capace la vittima.

Il cristianesimo è la vittoria delle vittime sul resto del mondo.

Vittime che non hanno nemmeno la forza di cambiare, di migliorarsi, di fare qualcosa per non essere più vittime.

Vittime che restano vittime e ci fanno su una religione. E poi, con tutta la violenza, l’odio e il risentimento di cui sono capaci, vogliono che tutto l’umanità soffra come loro. Vogliono che tutta l’umanità diventi un’umanità di vittime.

La legittimazione della sofferenza, della debolezza, della malattia – iniziata col cristianesimo su scala mondiale – ha prodotto effetti disastrosi per l’umanità.

I sofferenti, i deboli e i malati non fanno più niente per non esserlo, e anzi non fanno altro che mettere i bastoni tra le ruote a chi non lo è.

Il cristianesimo condanna la salute, la sovrabbondanza di vita, l’esuberanza, l’energia, la potenza.

Tutto quello che è indizio di “vita piena” diventa peccato.

La compassione è lo stratagemma con cui colui che vive pienamente perde la sua Vita Piena per colpa di colui che non vive pienamente.

Il cristianesimo è un sistema di potere in cui il potere è esercitato dai compatiti.
Le armi di questo sistema di potere sono il peccato, la compassione, gli obblighi morali, il senso di colpa, la coscienza, il Super Io.

In questo modo – “muoia Sansone e tutti i filistei” – i morti perpetrano la loro esistenza mortifera facendo diventare tutti morti e perseguitando coloro che sono ancora vivi.

Questa cosa va avanti da duemila anni.

Come è possibile una cosa del genere?

Soprattutto, con la prima mossa “democratica” – numerica, quantitativa – della storia.

Paolo di Tarso – il sistematizzatore del cristianesimo (Gesù Cristo e cristianesimo sono due cose separate) – ha creato un sistema che è riuscito a chiamare alle armi tutti i sofferenti, gli sbagliati, i perdenti, i moribondi, i malati, i deboli, del mondo.

Paolo di Tarso ha creato un sistema che si basa sul risentimento e sull’odio – sulla faziosità esasperata, sui toni urlati e sulla guerra permanente.

Non c’è serenità intellettuale, nel cristianesimo di Paolo di Tarso. C’è solo furore.

In questo modo non ci sono ragioni che tengano. Si fa leva sugli umori peggiori, sull’invidia, sulla gelosia, sull’odio, sull’esasperazione, sul risentimento.

I cristiani agiscono sempre in uno stato di euforia – come ubriachi – e i martiri sono stati il suggello della loro vittoria folle e anti-intellettuale.

Se qualcuno muore per un’idea, quell’idea dev’essere senz’altro giusta. È un argomento fortissimo.

È nel sangue dei martiri, infatti, che è cresciuto e si è sviluppato il cristianesimo.

Poi la castità. E tutte le imposizioni arbitrarie dell’ordine morale del mondo – gli stenti e le privazioni, le sofferenze autoinflitte – che provocano repressione e violenza interiore, che in qualche modo si deve sfogare all’esterno.

E il furore sessuale attizzato dal corpo nudo di quel bel Cristo in croce e dalla bellezza velata, tutta da scoprire, della Vergine Maria.

E il richiamo irresistibile – per i perdenti – ad “un altro mondo” che sia migliore di quello che si vive ogni giorno,
e il richiamo al proprio dolore e alla propria sofferenza,
alla speranza che tutto può essere riscattato in quell’ “altro mondo”, dove tutto – a partire da me stesso – sarà più giusto.

La speranza! Che i greci hanno posto in fondo al vaso di Pandora, fonte di tutti i mali. La speranza! Il male peggiore!

Il cristianesimo è l’epidemia che ha devastato l’umanità per tutti i millenni successivi.
I bacilli sono stati allevati in laboratorio da Paolo di Tarso.

PS –  Sulla violenza

L’uomo – o un popolo, o una umanità – crea una morale quando sta per soccombere.

Perchè un uomo – o un popolo, o una umanità – al culmine della sua salute non ha nessun bisogno di morale, di dover-essere.
Egli trabocca, e le sue armi sono l’energia e l’intuito.
Egli scorre, asseconda il divenire, si dispiega con forti bracciate.
Segue naturalmente i suoi istinti vitali, dice sì alla vita, asseconda le energie che egli sente dentro di sé e percepisce dal mondo.

La violenza contro gli altri la usa solo è necessario.

Invece la morale, l’ordine morale del mondo, come si è detto, è stato lo stratagemma di un popolo per continuare miserevolmente a sopravvivere, a strisciare come un verme.

L’uomo – o il popolo, o l’umanità – non riesce a sentire più la vita che gli scorre tra le vene, non riesce a muoversi autonomamente, e quindi si affida ai dover-essere, alle Scritture, ad un Altro Mondo Che Non Esiste.

Ma i dover-essere sono stati elaborati da gente che ha in odio la Vita.

Le imposizioni morali vanno contro ciò che è Vita.

La violenza, quella vera, grave, viene da qua.

Ci sono due possibilità.

  1. La violenza che viene dai cattivi sentimenti dei deboli, dei sofferenti, dei malati. Di quelli che stanno per morire e non vogliono morire. E, per continuare a sopravvivere, non hanno scrupoli ad avvelenare tutto il resto.
  2. La violenza che viene dalla repressione degli istinti vitali. Dal dolore della compressione della propria libertà e della propria vita. Dall’essere costretti a giudicare i propri istinti migliori come fonte di vergogna, peccato e senso di colpa.

Questi due tipi di violenza sono prodotti da dinamiche contronatura.
E sono violenze esasperate, esagerate, spropositate.
Sono frutto della paura e del risentimento, sono frutto della debolezza e della malattia,
sono violenze ruminate, rimasticate, rimestate, torbide.
Sono queste le atrocità, le mostruosità, le crudeltà disumane.

L’umanità giusta, la “natura”, per Nietzsche, contiene pure violenza, ma in casi rarissimi. Si tratta comunque di una violenza leale, luminosa, cristallina.
Un gesto, un’azione.

Dice Nietzsche che, se agli spiriti sani e forti fosse permesso dispiegare liberamente la propria vita, la benevolenza verso i meno fortunati verrebbe spontanea. Sarebbe un’ulteriore dimostrazione della loro sovrabbondanza di energie.

La misericordia verso i più deboli, in un mondo in cui le differenze sono rispettate, secondo l’ideale antidemocratico di Nietzsche, è qualità insista nella natura delle anime nobili e superiori.
La cattiveria e la vera violenza, invece, quella subdola, viscida, subliminale, ma anche quella più distruttiva in assoluta – perchè priva di amor proprio – deriva invece dagli spiriti inferiori, rozzi, degradati, che non trovano altra via di uscita alla loro frustrazione e alla loro impotenza che quella di allargare tutte le ferite in cui si imbattono.

Alcuni brani

C’è una grande scala della crudeltà religiosa, con molti piuoli; ma tre di essi sono i più importanti. Un tempo si sacrificavano al proprio Dio esseri umani, e forse proprio quelli che si amavano di più – ne fanno parte i sacrifici dei primogeniti praticati in tutte le religioni preistoriche, anche il sacrificio dell’imperatore Tiberio nella grotta di Mitra dell’isola di Capri, il più orrendo di tutti gli anacronismi romani. Poi, nell’epoca morale dell’umanità, si sacrificarono al proprio Dio gli istinti più forti che si possedevano, la propria “natura”. 

Questa gioia di festa brilla nello sguardo crudele dell’asceta, l’uomo fanaticamente “contronaturale”. Infine: che cosa restava ancora da sacrificare? Non si doveva infine sacrificare tutto quanto vi è consolante, di sacro, di risanatore, ogni speranza, ogni fede in un’armonia nascosta, nelle beatitudini e giustizie future? Non si doveva sacrificare Dio stesso e, per crudeltà verso se stessi, adorare la pietra, la stupidità, la pesantezza, il destino, il nulla? Sacrificare Dio per il nulla – questo mistero paradossale dell’estrema crudeltà è stato riservato alla generazione che sta venendo su: noi tutti ne sappiamo già qualcosa. Ciò che fa meraviglia, nella religiosità degli antichi Greci, è la strabocchevole pienezza di gratitudine che ne prorompe: è un tipo d’uomo nobilissimo, quello che si pone così di fronte alla natura e alla vita! Più tardi, quando in Grecia la plebe prese il sopravvento, la paura lussureggiò anche nella religione: si andava preparando il cristianesimo. La fede cristiana è fin dal principio sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni orgoglio, di ogni consapevolezza di sè dello spirito; e contemporaneamente asservimento e dileggio di sè, automutilazione. C’è crudeltà e religiosità fenicia in questa fede che si pretende da una coscienza infrollita, multiforme e viziatissima; il suo presupposto è che la sottomissione dello spirito faccia indicibilmente male, che tutto il passato e ogni consuetudine di un tale spirito si oppongano a quell’absurdissimum sotto l’aspetto del quale la “fede” gli viene incontro. Gli uomini moderni, con la loro ottusità per ogni nomenclatura cristiana, non avvertono più l’orrore superlativo che si annidava per il gusto antico nel paradosso della formula “Dio in croce”. Finora non c’è stato mai e in nessun luogo una pari arditezza nel sovvertire, mai qualcosa di ugualmente terribile, interrogativo e problematico come questa formula. Essa prometteva il rovesciamento di tutti i valori antichi. Fu l’Oriente, il profondo Oriente, fu lo schiavo orientale, che in qualche modo si vendicò di Roma e della sua tolleranza aristocratica e frivola, del “cattolicesimo” romano della fede – e fu sempre non la fede, ma la libertà dalla fede, quella noncuranza semistoica e sorridente disinvoltura con la serietà della fede, a suscitare negli schiavi lo sdegno verso i propri padroni, la rivolta contro i loro padroni. Il “rischiaramento” suscita sdegno; lo schiavo cioè vuole cose assolute, capisce solo ciò che è tirannico, anche nella morale, ama come odia, senza sfumature, fino in fondo, fino al dolore, fino alla malattia; il suo molto dolore nascosto si ribella contro il gusto aristocratico che sembra negare il dolore.  Lo scetticismo verso il dolore, in fondo solo un atteggiamento della morale aristocratica, non ha contribuito per il meno all’origine dell’ultima grande sollevazione degli schiavi che è cominciata con la rivoluzione francese. Chi ha scrutato il mondo in profondità, capisce bene quale saggezza ci sia nel fatto che gli uomini siano superficiali. è il loro istinto di conservazione che insegna loro ad essere volubili, leggeri e falsi. Si trova qua e là un’appassionata ed esagerata adorazione delle “forme pure”, presso i filosofi come presso gli artisti: c’è da esser sicuri che chi in tal modo ha bisogno del culto della superficialità, ha fatto una qualche volta un tentativo infelice al di sotto di essa. Forse c’è addirittura per questi fanciulli bruciati, gli artisti nati, che trovano la gioia di vivere ancora e soltanto nell’intenzione di falsificarne l’immagine (come una prolungata vendetta contro la vita), anche un ordinamento gerarchico: si potrebbe desumere il grado di cui sono disgustati dalla vita dalla misura in cui desiderano vederne falsificata, assottigliata, trascendetizzata, divinizzata l’immagine – si potrebbero annoverare tra gli artisti anche gli hominem religiosi come il loro ordine più elevato, è la profonda, sospettosa paura di un pessimismo incurabile, che costringe interi millenni ad attaccarsi coi denti a un’interpretazione religiosa dell’esistenza: la paura di quell’istinto che intuisce che si potrebbe venire troppo presto in possesso della verità, prima che l’uomo sia diventato abbastanza forte, abbastanza duro, abbastanza artista…La religiosità, la “vita in Dio”, considerata da questo punto di vista apparirebbe allora l’ultimo e il più sottile parto della paura della verità, l’adorazione, l’ebbrezza dell’artista di fronte alla più coerente di tutte le falsificazioni, la volontà di capovolgere la verità, un volere la non-verità a ogni costo. Forse non c’è stato finora nessun mezzo più forte per abbellire l’uomo stesso che la religiosità appunto: grazie ad essa, l’uomo può diventare a tal punto arte, superficie, gioco di colori, bontà, che la sua vista non fa più soffrire. Si dà per l’uomo, come per ogni altra specie animale, un eccesso di esemplari malriusciti, malati, degenerati, cagionevoli, necessariamente sofferenti; i casi riusciti sono anche per l’uomo sempre l’eccezione e, pur considerando che l’uomo è  l’animale non ancora determinato, l’eccezione rara. Ma peggio ancora: quanto più alto è il tipo che è rappresentato da un certo essere umano, tanto più cresce l’improbabilità che costui riesce bene.
Il caso, la legge dell’assurdo in tutta l’economia dell’umanità si rivelano nel modo più spaventoso nei loro effetti distruttivi sugli uomini superiori, le cui condizioni di vita sono delicate, multiformii e difficili da calcolare. Ora, come si comportano le due suddette religioni maggiori (cristianesimo e buddhismo ndr) con questo sovrappiù di casi malriusciti? Cercano di conservare, di mantenere in vita ciò che in qualche modo si può conservare, anzi prendono partito per principio a suo favore, come religione dei sofferenti, danno ragione a tutti coloro che soffrono della vita come di una malattia e cercano di fare in modo che ogni altro sentimento della vita sia considerato falso e diventi impossibile (…)
In un calcolo globale le religioni che ci sono state finora, quelle cioè sovrane, sono state tra le sue cause principali del fatto che il tipo “uomo” sia stato  mantenuto su un gradino più basso – ed esse hanno conservato troppo di quel che sarebbe dovuto perire. (…)
Capovolgere
 tutti i giudizi di valore – ecco cosa dovettero fare! E spezzare i forti, ammorbare le grandi speranze, rendere sospetta la felicità nella bellezza, fiaccare ogni senso di sovranità, di virilità, di conquista, di avidità di potere, tutti gli istinti che sono propri del tipo “uomo” più alto e riuscito, trasformando tutto ciò in insicurezza, tormento di coscienza e autodistruzione, anzi tramutando tutto l’amore per ciò che è terrestre e per il dominio sulla terra in odio contro la terra e le cose terrene – questo si prefisse e si dovette prefiggere la Chiesa come suo compito, finchè nella sua valutazione, “smondanizzazione”, “desensualizzazione” e “uomo superiore” si fusero insieme in un solo sentimento.  (…)
Non sembra infatti che per diciotto secoli abbia dominato in Europa questa sola volontà di fare dell’uomo un sublime aborto? (…)


Al di là del bene e del male, Friedriche Nietzsche


Al cristiano la malattia è necessaria, pressappoco come alla grecità è necessaria un’esuberanza di salute
 – rendere malati è la vera intenzione recondita dell’intero sistema di procedure di salvezza della Chiesa (…
Il mondo interiore dell’uomo religioso assomiglia al mondo interiore dei sovraeccitati e degli esauriti; gli stati d’animo “altissimi” che il cristianesimo ha sospeso sull’umanità come valori di tutti i valori, sono forme epilettoidi – la Chiesa ha proclamato santi in majorem dei honorem solo mentecatti e grandi impostori.

A noi altri, a noi che abbiamo il 
coraggio della salute e anche del disprezzo, a noi è lecito disprezzare una religione che ha insegnato a fraintendere il corpo, che non vuole sbarazzarsi delle superstizioni dell’anima, che fa dell’insufficiente nutrizione un “merito”, che nella salute combatte una specie di nemico, di diavolo, di tentazione, che si è data ad intendere che si possa portare in giro un’ “anima perfetta” in un cadavere di corpo, ed ebbe bisogno di predisporsi, a tal fine, una nuova nozione della “perfezione”, un modo di essere esangue, malaticcio, fanatico-idiota, la cosiddetta “santità” – santità che null’altro è che una serie di sintomi di un corpo impoverito, snervato, inguaribilmente devastato!…Il movimento cristiano, in quanto movimento europeo, è sin dall’inizio un movimento collettivo di elementi di scarto e di rifiuto di ogni sorta: – essi, col cristianesimo, aspirano alla potenza.
Il cristianesimo non era “nazionale”, non era legato alla razza – si rivolgeva ad ogni sorta di diseredati della vita, aveva ovunque i suoi alleati. Il cristianesimo ha alla base la rancune dei malati, ha indirizzato l’istinto 
contro i sani, contro la salute. Tutto quanto è ben fatto, orgoglioso, esuberante, la bellezza innanzitutto, gli fa male agli occhi e alle orecchie.
Ancora una volta rimando all’ineffabile parola di Paolo: “Quel che è
 debole per il mondo, folle per il mondo, quel che per il mondo è ignobile e oggetto di disprezzo, Dio lo ha prescelto”.
Dio sulla croce – ancora non vi è chiara la spaventosa riserva mentale rappresentata da questo simbolo?
Il cristianesimo è stato fino a questo momento la più grande sciagura dell’umanità.
Poichè la malattia fa parte dell’essenza del cristianesimo, anche il tipico stato d’animo cristiano, la “fede”, deve essere una forma di malattia, tutte le vie diritte, leali, scientifiche alla conoscenza devono venir rifiutate dalla Chiesa come vie proibite. Già il dubbio è peccato…La completa mancanza di limpidezza psicologica nel prete – tradita dallo sguardo – è una manifestazione conseguente alla decadence – se si osservano le donne isteriche, o anche, per altro aspetto, i bambini di costituzione rachitica, si potrà notare con quanta regolarità la falsità istintiva, il gusto di mentire per mentire, l’incapacità di uno sguardo e di un passo diritto siano espressione di decadence.
“Fede” vuole dire non voler sapere ciò che è vero. Il pietista, il prete di ambo i sessi, è falso perchè è malato: il suo istinto esige che la verità non si affermi in alcun punto. “Ciò che è malato è buono; ciò che deriva dalla pienezza, dall’esuberanza, dalla potenza, è cattivo: così sente il credente”.
Le morti di martiri, sia detto per inciso, sono state nella storia una grande sciagura: esse seducevano. La conclusione di tutti gli idioti, ivi compresi femmine e popolo, che abbia importanza quella causa per la quale qualcuno affronta la morte (o che, come il primo cristianesimo, genera addirittura epidemie di desideri di morte – questa conclusione è divenuta un’indicibile remora per l’indagine, per lo spirito d’indagine e di prudenza. I martiri danneggiarono la verità…
Fa differenza per il valore di una causa il fatto che qualcuna per essa rinunci alla vita?…
Nella storia del mondo la stupidità di tutti i persecutori fu proprio questa: essi dettero alla causa avversaria l’apparenza di una rispettabilità – le donarono il fascino del martirio…Ancora oggi la femmina si inginocchia davanti ad un errore, perchè le hanno detto che per esso qualcuno morì sulla croce. La croce è dunque un argomento?
Sogni di sangue scrissero sulla via che percorrevano e la loro stoltezza insegnò che con il sangue si proverebbe la verità. Ma il sangue è il peggior testimone della verità; il sangue avvelena anche la più pura dottrina in delirio e odio dei cuori.
E quand’anche uno attraversasse il fuoco per la propria dottrina – che cosa dimostra ciò! Vero è piuttosto che dal proprio rogo viene la propria dottrina.
Il cristiano e l’anarchico: entrambi decadents, entrambi incapaci di agire altrimenti che disgregando, avvelenando, intristendo, succhiando sangue, entrambi istinto di odio mortale contro tutto ciò che consiste, che è imponente, che ha durata, che promette avvenire nella vita.
Il cristianesimo fu il vampiro dell’impero romano – nel giro di una notte esso ha disfatto l’immensa impresa dei Romani, di conquistare il terreno per una grande civiltà che ha durata. Ancora non è chiaro? L’impero romano che noi conosciamo…questa ammirevolissima opera d’arte di grande stile, era un inizio, la sua struttura era calcolata per misurarsi coi millenni...Quell’organizzazione era saldo quanto basta per sopportare cattivi imperatori: la casualità delle persone non può avere alcun peso in cose del genere – primo principio di ogni architettura. Essa non era però solida abbastanza per la più corrotta specie di corruzione, per il cristiano…Quest’occulto groviglio di vermi, che in mezzo a notte, nebbia e ambiguità si avvicinò furtivamente ad ogni individuo e da ognuno succhiò la serietà per le cose vere, l’istinto in genere per le realtà, quest’accozzaglia vile, effeminata e sdolcinata ha, passo su passo, estraniato le “anime” da quella costruzione immensa – quelle nature preziose, virilmente nobili, che nella causa di Roma ravvisavano la propria causa, la propria serietà, il proprio orgoglio. La furtività dei bigotti, la clandestinità da conventicola, torbidi concetti come inferno, come sacrificio dell’innocente, come unio mystica nel bere sangue; soprattutto il fuoco, lentamente attizzato, della vendetta, della vendetta dei Ciandala – questo signoreggiò Roma.


L’anticristo, Friedrich Nietzsche

Paolo di Tarso genio del marketing

Sulla figura di Paolo di Tarso c’è davvero da approfondire. Una delle persone più importanti (e sfaccettate, e inquietanti) della storia dell’umanità. Bruno Ballardini, esperto di marketing, nel suo libro “Gesù lava più bianco” (2014, Minimum Fax), lo ha definito come il primo e più grande Marketing Manager della Chiesa, colui che ha gettato le basi dell’egemonia del cristianesimo sul mondo.

Paolo Di Tarso preparò il terreno alle grandi campagne pubblicitarie successive con un’azione mirata di direct marketing (…) rivolgendosi agli opinion makers, ovvero a coloro che sono in grado di condizionare l’opinioni di un grande numero di persone. Un lavoro del genere permise di stabilizzare l’immagine della Marca e preparò proficuamente il terreno allo stadio finale dell’advertising. Paolo dunque indirizzò i suoi mailing a sette forti gruppi di opinione (i Tassalonicesi, i Corinzi, i Galati, i Romani, i Filippesi, gli Efesini, i Colossesi) e a tre leader che avrebbero a loro volta svolto un’azione catalizzatrice verso la Marca (Filemone, Timoteo e Tito). Entusiasta del direct marketing fino a diventarne un fanatico utilizzatore, Paolo fu a tutti gli effetti il primo guru della pubblicità postale (…) Ma Paolo introdusse per primo anche la pubblicità postale nella sua forma più diretta. Non gli mancarono occasioni per stabilire il primato del cristianesimo come Marca, declassando l’ebraismo a una sorta di sottomarca che ha fallito quasi ingannando i consumatori (pag. 99) Una strategia vincente che sfocerà con l’egemonia culturale e politica del cristianesimo, che si innesta addirittura nell’impero romano “quando papa Leone I (440-461) arrivò a dichiarare ufficialmente che Pietro e Paolo avevano sostituito Romolo e Remo come patroni di Roma. La Madonna e i Santi avevano nel frattempo rimpiazzato altre divinità pagane già patrone di altre città. Di fatto, la Roma cristiana fu il legittimo successore della Roma pagana”. E questa, detta con il linguaggio del marketing, si è trattata della “più grande operazione di positioning (posizionamento ndr) che la storia ricordi”. (pag 101)

In questo ragionamento di Ballardini spicca il ruolo dei Concili:

Per quanto riguarda il controllo della qualità, la Chiesa istituì a partire dalla prima convention di Nicea (325) l’usanza di riunire periodicamente tutto il management per fare il punto della situazione e rivedere le linee guida a cui si sarebbe ispirata da lì a seguire. La storia dei concili, per quanto contraddittoria, porta con sé la traccia di un’inesauribile ricerca dell’eccellenza che ha preceduto di molti secoli l’invenzione della “qualità totale” “. (pag. 41)

E poi? Il giubileo è l’apice del reparto Organizzazione Eventi. È la più grande Festa della Marca che la storia ricordi. La Chiesa è il punto vendita, la messa l’Happening periodico che fidelizza i clienti. Icone, santini, rosari sono la gadgetteria. Poi c’è la propaganda, la comunicazione e infine una riflessione sulla “merce” del cristianesimo. Qual è la merce? Forse la merce è la Marca stessa, Il Cristianesimo. E che prezzo ha? È gratis.

Qui la mia recensione del libro di Ballardini,
qui un altro approfondimento