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Sacro, ragione e tecnica secondo Galimberti

[…] La mancanza di senso storico è il difetto ereditario di tutti i filosofi: alcuni di essi arrivano persino a prendere di punto in bianco la più recente configurazione dell’uomo, quale è venuta a delineandosi sotto l’influsso di determinate religioni e di determinati avvenimenti politici, come la forma fissa dalla quale si deve partire. Non vogliono imparare che l’uomo si è fatto, che anche la capacità di conoscere si è fatta. […] Ora, tutto l’essenziale del progredire umano è avvenuto in tempi remoti, molto precedenti a quei quattromila anni che noi approsimativamente conosciamo e nei quali l’uomo non può essersi cambiato di molto. Ma il filosofo vede nell’uomo attuale “istinti”, e presume che questi facciano parte dei fatti immutabili dell’uomo e possano pertanto fornire una chiave per la comprensione del mondo in generale; l’intera teleologia si basa sul fatto che si parla dell’uomo degli ultimi quattromila anni come di un uomo eterno, verso il quale convergono naturalmente, sin dal loro inizio, tutte le cose del mondo. Ma tutto si è fatto: non esistono fatti eterni, come non esistono verità assolute. […]

Friedrich Wilheim Nietzsche, Umano, troppo umano,
libro primo, parte prima, af. 2,
Newton Compton, 2010, pp. 33

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Perchè dove c’è ragione astratta è difficile ci sia vera conoscenza

Mi chiedete tutto quel che è idiosincrasia nei filosofi…Per esempio la loro mancanza di senso storico, il loro odio per l’idea stessa del divenire, il loro egizianesimo. Credono di rendere onore a una cosa destoricizzandola…facendone di essa una mummia. Tutto quello che i filosofi hanno avuto tra le mani per millenni, erano mummie di concetti; nulla di reale uscì vivo dalle loro mani. Questi signori idolatri del concetto, quando adorano, uccidono, imbalsamano – diventano un pericolo mortale per ogni cosa, quando adorano…
Morale: liberarsi dall’inganno dei sensi, dal divenire, dalla storia, dalla menzogna. Morale: dire no a tutto ciò che presta fede ai sensi, a tutto il resto dell’umanità: questo è tutto “popolo”. Essere filosofi, essere mummie, rappresentare il monotono-teismo con mimica da becchini! – E soprattutto basta con il corpo, questa miserevole idea fissa dei sensi! affetto da tutti gli errori della logica che esistano, confutato persino impossibile, eppure tanto impudente da atteggiarsi a reale!…

Le nostre vere e proprie esperienze vissute non sono affatto loquaci. Non potrebbero comunicare se stesse neppure se volessero. Questo perchè manca loro la parola. Le cose per le quali troviamo parole, sono anche quelle che abbiamo già superato. In ogni discorso c’è un granello di disprezzo. La lingua, a quanto sembra, è stata inventata soltanto per ciò che è mediocre, medio, comunicabile. Con il linguaggio, chi parla già si volgarizza.

Crepuscolo degli Idoli, Friedrich Nietzsche

La tragedia greca di Eschilo e di Sofocle è l’espressione più alta di questa civiltà fondata sulla compresenza delle due componenti: apollinea e dionisiaca. Questo equilibrio fu rotto da Socrate.  Col suo continuo dubitare, con la sua attitudine a sottoporre tutto alla critica, a ricorrere alla riflessione, a usare sempre la ragione, Socrate introdusse nella mentalità greca un elemento di distacco dalla realtà, in quanto l’uso della ragione implica pur sempre un mettere le cose a una certa distanza per poterle analizzare, una modalità opposta al coinvolgimento dionisiaco. L’influenza di Socrate si ripercosse anche sulla tragedia di Euripide, nelle cui opere i personaggi si dedicano a ragionare, a cavillare, a discutere. Con Socrate, che infetta Euripide, si rompe l’armonia di apollineo e dionisiaco della tragedia greca, si rompe l’equilibrio della personalità greca. Nasce una tendenza raziocinativa a non vivere le cose direttamente, in maniera sanguigna, immediata, ma a rifletterci sopra, a prendere le distanze, a criticare, e quindi si introduce una specie di tarlo, un elemento che indebolisce il vigore, lo spirito nativo, istintivo, che aveva fatto — secondo Nietzsche — la grandezza dei Greci, si diffonde una sorta di malattia.

Antonio Gargano su Nietzsche

Genealogia della morale, Nietzsche

Genealogia, quindi storia, storicizzazione. Spesso alcuni fenomeni sono talmente spalmati nel tempo, si sviluppano lungo praterie talmente immense, che diventano invisibili. Nietzsche, nel secondo capitolo, artiglia il suo concetto rivoluzionario, il grimaldello con il quale io appassionato incolto ignorante riesco a spiegarmi tutta la sua filosofia, o visione, o comunque vogliamo chiamarla. Il senso di colpa.

Debitori e creditori

Più il senso di colpa è debole più le legislazioni penali sono dure. Più c’è bisogno del marchio a fuoco, e più le pene – storicamente – sono spietate e crudeli. Soltanto così, scrive Nietzsche, si è potuto fissare nella coscienza collettiva quei cinque o sei “non voglio” – passo successivo dei malfermi “non devo” e “non posso” – che facilitano il vivere comune.

Già, spieghiamoci. Il delitto, la pena, il castigo, tutte ste cose qua da cui dipende il senso di colpa, per Nietzsche discendono direttamente dal concetto di debito e dal rapporto debitore-creditore. Nient’altro che questo. Niente giustizia né ordine divino né niente di tutto questo. Solo rapporti di forza, contratti economici-giuridici fra persone. Il bene o il male, così come il delitto e il castigo, anticamente, si riferiva soltanto ai rapporti tra persone. Nessuna giustizia impersonale, nessuna società o Leviatano, dunque.

Se trasferiamo questa logica al contesto sociale, il ragionamento è semplicissimo. La pena non è altro che un indennizzo per un danno che l’individuo compie contro la comunità. E poco male se l’indennizzo è pagato in termini di dolore fisico. La crudeltà dell’uomo sull’uomo, il dominio del più forte sul più debole, il piacere del veder soffrire e del far soffrire, per Nietzsche, è una caratteristica naturale dell’essere umano.

Automartirio

Una caratteristica che, come tante altre, la civilizzazione a poco a poco ha soffocato. Aumenta così “la vergogna dell’uomo di fronte all’uomo”. Con l’animale-uomo che alla fine impara a vergognarsi di tutti i propri istinti più naturali. La volontà di potenza, lo spirito di prevaricazione, l’egoismo, la crudeltà – oggi diremmo – “gratuita”. Ma la vergogna genera mostri.

Sulla strada verso l’angelo l’uomo si è procurato quello stomaco malato e quella lingua impastata che gli hanno reso disgustosa non solo la gioia e l’innocenza dell’animale, ma che gli fanno ritenere insipida anche la vita.

Tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno, si rivolgono infatti all’interno – la cosiddetta “interiorizzazione”: solo così si sviluppa nell’uomo quella cosa che più tardi assumerà il nome di “anima”.

“Tutto il mondo interiore, agli inizi sottile come se fosse teso tra due strati epiteliali, si è espanso e spalancato, ha guadagnato profondità, larghezza, altezza, tanto quanto le possibilità dell’uomo di scaricarsi all’esterno sono state impedite. Quei bastioni terribili con cui l’organizzazione statale si proteggeva contro gli antichi istinti della libertà – le pene sono fatte soprattutto da questi bastioni – fecero sì che tutti quegli istinti dell’uomo libero e randagio, regredendo, si rivolgessero contro l’uomo stesso”. “L’inimicizia, la crudeltà, il piacere della persecuzione, dell’attacco, delle mutazioni, della distruzione – tutto quello che si rivolta contro i possessori di tali istinti: questa è l’origine della cattiva coscienza. L’uomo che in mancanza di nemici esterni e resistenze, costretto nelle oppressive strettoie e regolarità di costumi, dilaniava impaziente se stesso, si perseguitava, si torturava, si punzecchiava, si maltrattava, questo animale che si butta contro le sbarre della sua sbarra ferendosi, che vogliono “domare”, questo essere privato di qualcosa, divorato dalla nostalgia del deserto, che ha dovuto fare di sé un’avventura, una camera di tortura, una giungla malsicura e piena di pericoli – questo dissennato, questo prigioniero disperato e sitibondo di desiderio, diventò l’inventore della cattiva coscienza”. “Con ciò, però, si aprì la strada alla più grave e oscura malattia, da cui sino a oggi l’umanità non è guarita, la sofferenza che l’uomo ha di sé, dell’uomo stesso: come conseguenza del distacco violento dal suo passato animale, di un salto, di una caduta quasi, in nuove situazioni e condizioni esistenziali, di una dichiarazione di guerra contro gli antichi istinti su cui fino ad allora aveva fondato la sua forza, il suo piacere e la sua temibilità”.

Quindi l’origine della cattiva coscienza non è altro che “questo istinto di libertà reso latente dalla violenza, questo istinto di libertà represso, soffocato, incarcerato nell’intimo…”.

Ecco tutto, da ciò discendono due conseguenze. L’altruismo e la religione come forma estrema del senso di colpa.

L’invenzione di Dio

“Solo la cattiva coscienza, solo la volontà di maltrattare se stessi costituisce il presupposto per il valore del non egoistico” in quanto “la natura del piacere che prova l’altruista, chi nega e sacrifica se stesso: questo piacere è crudeltà”.

Allargando il campo, infine, Nietzsche spiega.

“Il rapporto di diritto privato tra debitore e creditore (alla base della cattiva coscienza ndr) è stato interpretato ancora una volta…come rapporto tra i contemporanei e i loro antenati. All’interno della primitiva comunità di stirpi – parliamo di epoche primordiali – la generazione vivente riconosce ogni volta un obbligo giuridico verso la generazione più antica che aveva fondato la stirpe…Qui prevale la convinzione che la specie sussista solo in virtù dei sacrifici e dell’attività degli antenati e che essi ne debbono essere ripagati con altri sacrifici e attività: quindi si riconosce un debito che continua ad aumentare per il fatto che questi antenati, sopravvissuti come spiriti potenti, non cessano di assicurare alla specie nuovi vantaggi e nuovi contributi derivati dalla loro forza. Forse gratuitamente? Ma non esiste niente di “gratuito” per quelle epoche rozze e “povere di spirito”. Con che cosa si possono ripagare? Sacrifici (agli inizi per il nutrimento, inteso grossolanamente), feste, cappelle votive, testimonianze di omaggio, prima di tutto obbedienza – poiché tutti gli usi, in quanto prodotto degli avi, sono anche regole e ordini che da loro provengono -: si dà mai abbastanza agli avi? Il sospetto rimane e aumenta: di tempo in tempo esso costringe a un grande riscatto cumulativo, un qualche mostruoso risarcimento al “creditore” (il famigerato sacrificio del primogenito, per esempio, sangue, sangue umano in ogni caso). Il timore dell’antenato e della sua potenza, la coscienza dei debiti che si hanno verso di lui, secondo questo tipo di logica, cresce nella misura esatta in cui la forza della stirpe stessa aumenta, via via che la stirpe si fa sempre più vittoriosa, più indipendente, più onorata e temuta. Se immaginiamo questo rozzo tipo di logica spinto sino all’estremo, gli antenati delle stirpi più potenti dovranno finire per trasformarsi, grazie alla fantasia del timore in aumento, in qualcosa di mostruoso, ed essere infine respinti nel buio di una tetra e inimmaginabile divinità – l’antenato finisce necessariamente per trasfigurarsi in un dio. Forse questa è l’origine degli dei, dunque, un’origine derivata dal timore!”

L’iperbole estrema, il Dio cristiano

Bene, “la nascita dei Dio cristiano, come massima divinità cui si è giunti fino ad oggi – scrive Nietzsche – ha portato sulla terra anche il maximumdel sentimento del debito”. Il cristianesimo non è altro che lo sviluppo più oltranzista di questo tipo di logica, portata fino alle estreme conseguenze. E quando si tocca il culmine, i risultati sono sempre intrecciati di paradossi. La religione del Cristo incarnato, infatti, si serve di un “paradossale espediente in cui l’umanità martoriata ha trovato un momentaneo sollievo, un colpo di genio del cristianesimoDio stesso che si sacrifica per la colpa dell’uomo, Dio stesso che si risarcisce di se stesso. Dio come l’unico che possa riscattare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso non è più riscattabile – il creditore che si sacrifica per il suo debitore, per amore (dobbiamo crederci?), per amore del suo debitore!”

E qui Nietzsche ci regala una delle sue pagine più belle:

“Si sarà già indovinato che cosa è realmente accaduto di tutto questo e al di sotto di tutto questo: quella volontà di autotorturarsi, quella crudeltà regressa dell’animale uomo interiorizzato e respinto in se stesso, di colui il quale è stato incarcerato nello “Stato” per essere domato, che ha inventato la cattiva coscienza, per farsi del male, essendo stato bloccato lo sbocco più naturale di questo voler-fare del male – quest’uomo della cattiva coscienza si è impadronito del presupposto religioso per spingere il proprio automartirio fino alla più orrenda durezza e raffinatezza. Un debito verso Dio: questo pensiero è per lui uno strumento di tortura. Coglie in “Dio” le contraddizioni ultime che riesce a trovare in relazione ai suoi tipici e non riscattabili istinti animali come colpa verso Dio (come ostilità, rivolta, ribellione contro il “Signore”, il “Padre”, il progenitore e il principio del mondo), si tende nella contraddizione “Dio” e “Diavolo”, riversa fuori di sé ogni no che dice a se stesso, alla natura, alla naturalità, alla realtà del suo essere, lo riversa fuori di sé come un sì, come qualcosa che esiste, qualcosa di corporeo, di reale, come Dio, come santità di Dio, come giudizio di Dio, come patibolo di Dio, come al di là, eternità, martirio senza fine, inferno, incommensurabilità di pena e di colpa. Questa è una sorta di follia del volere nella crudeltà interiore che non ha certo uguali: la volontà dell’uomo di sentirsi colpevole e riprovevole tanto da non poter più espiare le sue colpe, la sua volontà di sentirsi punito…la sua volontà di istituirsi un ideale– quello di un “Dio santo” -, e di essere incontrovertibilmente certo della propria assoluta indegnità di fronte a lui. Oh bestia uomo, com’è folle e triste!…Qui c’è malattia, non c’è dubbio, la più orribile malattia che abbia mai devastato l’uomo sino a oggi – e chi ancora riesce a udire (ma oggi non si hanno più orecchie per cose simili!) – in questa notte di martirio e diassurdità, l’eco del grido amore il grido del trasporto più struggente, della salvezza nell’amore, si ritrae, colto da un orrore invincibile!…Nell’uomo c’è tanto di orribile!….Per troppo tempo la terra fu un manicomio!…”.